“A Torino non avete visto il vero Scifo”: la Coppa Italia, i primi lampi nel Principato e le stoccate velenose all’ex tecnico
Matteo Curreri
3 agosto – 14:31
Alla sede del Torino, in corso Vittorio Emanuele è un mezzogiorno di metà giugno del 1991. Fa caldo, e il volto pallido di Gian Mauro Borsano tradisce la fatica di un periodo intenso. Il presidente granata è impegnato su più fronti: dal calcio all’editoria, dalla politica alle sue aziende. Al suo fianco, Luciano Moggi non nasconde la tensione: circolano voci insistenti su un possibile ritorno a Madrid – ma sponda Atletico – di Martin Vazquez.
Tutt’altra espressione quella di Emiliano Mondonico, visibilmente raggiante. È convinto di poter modellare il Toro a sua immagine e somiglianza. E anche i tifosi, circa un migliaio, sono in festa. Sono accorsi per vedere Vincenzo Scifo affacciarsi dal balcone con sciarpa e maglia granata, accanto a Walter Casagrande.
“Torna in Italia per dimostrare quanto è valido e quanto può essere utile al Toro. Ho conosciuto lui e la sua famiglia, il padre che è qui con noi e che ringrazio”, racconta Borsano. Il trequartista belga di origini siciliane (la famiglia è di Aragona, nell’agrigentino) è costato 9 miliardi e 600 milioni di vecchie lire. Ha firmato un contratto triennale, con opzione per un quarto anno. “Ma crediamo siano soldi ben spesi”, aggiunge il presidente. Su Scifo pesa ancora il giudizio negativo della sua prima esperienza italiana, con la maglia dell’Inter, non certo indimenticabile. Ma ora è determinato a scrivere una storia diversa: “Ho lavorato due anni aspettando questo ritorno in Italia – spiega – Adesso la verità sulle mie possibilità la dirà il campo”.
Scifo è già pienamente convinto di entrare presto in sintonia con la sua nuova guida tecnica: “Ho già capito che Mondonico è un tecnico col quale si dialoga, è importante”.
Scifo, “Il piccolo Pelé”—
Ma chi è davvero Vincenzo Scifo? E che cosa rappresenta il suo acquisto in quel Torino ambizioso, pronto a dire la sua nel calcio internazionale con la partecipazione alla Coppa Uefa?
Scifo nasce a La Louvière, in Belgio. Suo padre, Agostino, è un minatore, uno dei tanti visages noirs: come venivano chiamati con disprezzo gli immigrati italiani impiegati nelle miniere. Enzo, fin da piccolo, sembra destinato a tutt’altro destino. C’è un oggetto che lo accompagna ovunque: il pallone. “Mia mamma dice che il pallone è sempre stato l’oggetto principale. Anche a due anni ero già sempre con il pallone tra i piedi”, ricorda in un’intervista.
Il talento è evidente fin da subito. Classe cristallina, visione di gioco fuori dal comune, movenze eleganti e un destro potente. Non a caso viene soprannominato “Il Piccolo Pelé”. A soli 17 anni e mezzo debutta nella prima squadra dell’Anderlecht, nel 1983. Vince tre campionati consecutivi da protagonista e nel 1986 trascina la squadra fino alle semifinali di Coppa Campioni, venendo eliminati dallo Steaua Bucarest. Ma è con la maglia del Belgio che il suo nome inizia ad acquisire uno status internazionale. A soli 18 anni gioca un’eccellente partita contro la Jugoslavia a Euro ’84, conquistando il ct del Belgio Guy Thys: “A 18 anni è difficile vedere qualcuno giocare così bene. Bella visione di gioco, calcio pulito. A me Scifo piace perché semplifica tutto, non è uno innamorato del dribbling. Ha davanti una grossa carriera, speriamo che non gli facciano fumare la testa”.
Il flop all’Inter e la rinascita all’Auxerre—
Ai Mondiali in Messico dell’86, Scifo è il punto di riferimento dei Diavoli Rossi, trascinandoli fino a una storica semifinale: solo Diego Armando Maradona riesce a spegnere i sogni di gloria. Il talento del giovane belga non passa inosservato, e in Serie A – il campionato più prestigioso al mondo – sono pronti a contenderselo. L’avvocato Agnelli pensa a lui come erede di Michel Platini, ma a spuntarla è l’Inter di Giovanni Trapattoni, che nel 1987 lo acquista per 7 miliardi e 600 milioni di lire.
Le aspettative sono enormi e proprio quel peso finirà per schiacciarlo. In campionato segna solo quattro gol, mentre l’Inter chiude al quinto posto, a 13 lunghezze dal Milan campione. In Coppa Uefa esce agli ottavi, in Coppa Italia in semifinale. Non c’è possibilità per riscattarsi: dopo appena una stagione, l’esperienza di Scifo in nerazzurro è già terminata.
Il Toro e il Monaco all’orizzonte—
Ora è il Torino a scommettere su di lui. Nella stagione 1991-1992, il Toro di Mondonico vola: terzo posto in campionato e un’incredibile cavalcata in Coppa Uefa, con le notti indimenticabili contro il Real Madrid e la beffa finale contro l’Ajax. Nella gara di ritorno al De Meer di Amsterdam, però, Scifo delude: impalpabile, viene sostituito al 60′ da Gianluca Sordo (sì, quello della traversa). Un cambio che Scifo faticherà ad accettare: “Avrei potuto dare ancora qualcosa – dirà – non ero d’accordo con l’allenatore, ma è normale”.
Nonostante tutto, il suo primo anno al Delle Alpi si chiude con 11 gol in 46 partite: un bottino importante, che sembra scacciare per sempre l’etichetta del giocatore incompiuto. La seconda stagione, però, è più opaca: segna 9 gol in 40 presenze, ma il rendimento generale cala. Inizia la smobilitazione, il Toro cambia presidenza, e anche a Scifo toccherà fare i bagagli.
Inizialmente sembra destinato al Parma, ma alla fine tornerà nel campionato francese, al Monaco. Una scelta vista da molti come un pesante downgrade. Ma lui rivendica: “Se finirò a Montecarlo sarà per una mia scelta precisa. Finalmente avrò una squadra al mio servizio. A Torino non avete visto il vero Scifo, perché mai ho avuto una formazione che giocasse per me”.
Dal Principato, però, nessuna ufficialità. Un certo Arsène Wenger, che in futuro farà le fortune dell’Arsenal, ma che in quell’estate siede sulla panchina del Monaco, si mostra fiducioso: “Il presidente Campora mi ha fatto capire che l’affare è sulla buona strada”. Scifo è atteso al debutto il 30 giugno ad Antibes, per un torneo amichevole. Ma prima di voltare pagina, c’è ancora un obiettivo da raggiungere con il Torino: la Coppa Italia.
“Ritrovare la testa”—
A rendere ancora più urgente la necessità di restare concentrati è il momento delicato che sta attraversando la squadra. Nel girone di ritorno, i granata hanno vinto solo quattro partite e hanno chiuso il campionato con due sconfitte pesanti: la prima, una clamorosa “manita” subita in casa contro il Cagliari, con doppietta di Enzo Francescoli — destinato a vestire proprio quella maglia nella stagione successiva — e l’altra all’ultima giornata a San Siro, dove l’Inter ha rifilato tre schiaffi ai granata, condannandoli al nono posto finale, fuori dalle competizioni europee.
È lo stesso Scifo a richiamare i compagni a un cambio di rotta: “Se non cambiamo atteggiamento e continuiamo come negli ultimi mesi, addio Coppa Italia”, dichiara, rivelando come “ultimamente il clima nello spogliatoio sia cambiato, la tranquillità e l’unione si sono un po’ deteriorate”.
Secondo il belga, la squadra si è disunita nel momento in cui sono iniziate a circolare con insistenza le voci di mercato. E in effetti, il Torino vive un periodo di profonda incertezza. Con l’arrivo del nuovo presidente Roberto Goveani, è iniziata una fase di austerity: i pagamenti sono in ritardo, il direttore generale Luciano Moggi ha lasciato il club e la necessità di fare cassa è evidente. I giocatori simbolo del ciclo Mondonico sembrano tutti in vendita, ognuno con un cartellino appeso al collo.
La Curva Maratona, delusa, insorge durante la disfatta con il Cagliari, urlando un coro amarissimo: “Andate tutti alla Lazio”, sospettando che i pensieri di chi indossa la maglia granata stiano già virando verso altre cromature. “Dipende solo da noi – ribadisce Scifo – il vero problema è ritrovare la testa”.
Quello che Scifo fu (e avrebbe potuto essere)—
L’appello di Scifo non cade nel vuoto. E la sua ultima apparizione al Delle Alpi diventa il manifesto di ciò che è stato — e forse anche di ciò che avrebbe potuto essere — il suo percorso in granata. Nella gara d’andata della finale di Coppa Italia, vinta 3-0 contro la Roma, il belga offre una prestazione totale: costruisce gioco, recupera palloni, si sacrifica in copertura, arrivando persino a cimentarsi nei tackle. “Questo Scifo andrebbe confermato – scrive Marco Ansaldo su La Stampa – peccato che si sia svegliato in ritardo”.
Ma c’è ancora un ritorno da giocare, allo Stadio Olimpico, e non tutti sono entusiasti. A preoccuparsi sono soprattutto i dirigenti del Monaco, che avrebbero voluto avere Scifo già a disposizione: in Francia, infatti, la stagione comincia a fine luglio e tra due settimane scatterà la ripresa degli allenamenti. Il belga, però, potrà raggiungere il Principato solo dopo aver conosciuto l’esito del doppio confronto con la Roma.
Pochi giorni prima della trasferta capitolina, la cessione viene di fatto ufficializzata: circa 7 miliardi di lire per il cartellino, e un contratto quinquennale per il giocatore. Ma la trattativa non distrae Scifo, che resta focalizzato sull’obiettivo imminente.
A Roma accade l’imponderabile. Una serata che sfugge a ogni logica: tre rigori concessi ai giallorossi, un Olimpico infuocato e una sofferenza indicibile, condivisa da chi tremava nel settore ospiti e da chi a Torino sognava un riscatto dopo la notte stregata di Amsterdam. Alla fine, come recitava una celebre pubblicità: “L’antico vaso andava portato in salvo. Sembrava impossibile, ma ce l’avevamo fatta”.
Il Torino conquista quella che, a 32 anni di distanza, resta l’ultima coppa della sua storia. E anche in quella notte infernale, Scifo è protagonista: serve un passaggio vincente a Silenzi, che si inventa un gran gol, ma soprattutto gioca una partita di grande sacrificio, mettendo il proprio talento al servizio della squadra.
Montecarlo, ripartenza d’autore—
Chiuso in bellezza il biennio con il Torino, Vincenzo Scifo si prepara alla sua nuova avventura nel Principato. Le vacanze estive saranno brevi: tra poco più di un mese dovrà farsi trovare pronto per l’esordio in campionato contro il Nantes. Il Monaco, però, inizia la stagione con il piede sbagliato, con una sconfitta di misura per 1-0. Arsène Wenger non nasconde la delusione e lancia un monito alla squadra: “È importante reagire, abbiamo obiettivi importanti che non possono ammettere altre battute d’arresto. A Nantes non siamo mai entrati in partita”.
Il tecnico francese deve ancora trovare la giusta alchimia tattica, anche perché resta da capire come far coesistere Scifo con un altro ex interista, Jürgen Klinsmann, da un anno punto di riferimento dei monegaschi. C’è persino chi ipotizza l’impiego del belga come centravanti atipico.
“Il mio nemico Mondonico”—
Scifo sembra ormai essersi inserito perfettamente nei meccanismi del Monaco di Wenger. Dopo aver servito due assist preziosi nelle prime uscite, arriva anche il momento di togliersi qualche sassolino dalla scarpa nei confronti del suo recente passato in granata. Il 24 agosto 1993, La Stampa pubblica un’intervista dal titolo: “Il mio nemico Mondonico. Dalla nuova dimora monegasca, Scifo attacca l’allenatore”. Dalle colonne del quotidiano, l’italo-belga riversa tutta la frustrazione accumulata per non essere riuscito a lasciare un’impronta più forte nel calcio italiano: “Ho rimpianti solo per il Torino, l’Inter è già dimenticata – dice – A Milano ho sofferto, sono diventato uomo. A Torino ho imparato a vincere e lottare. Noi stranieri arriviamo in Italia, abbiamo un sogno in testa, poi la realtà ci risveglia. Forse io avevo bisogno di una squadra che fosse già abituata a vincere. Forse quella giusta sarebbe stata il Milan. Ma poi ci ripenso: con il Toro per due volte sono arrivato in Uefa e ho vinto la Coppa Italia”.
Scifo riflette anche sul clima eccessivamente critico del calcio italiano: “Se vinci sei un re, se perdi sei uno straccio. Ma è bellissimo, un fremito al cuore”. Poi spiega le ragioni della sua partenza: “Me l’hanno detto in faccia, sei l’unico che può portarci qualcosa nelle casse. È venuto il Monaco, ho fatto sacrifici per l’ingaggio, però loro mi hanno fatto firmare un contratto quinquennale. Ora vivo nel centro di Montecarlo. Niente villa, un appartamento. Sono felice ma sogno ancora l’Italia”. Parole a miele per l’ex presidente Gian Mauro Borsano: “Con lui il Toro avrebbe volato alto. Non mi interessa quello che dicono gli altri”. Ma nette sono le accuse rivolte a Emiliano Mondonico. Qualche giorno prima, il tecnico aveva dichiarato: “Quest’anno remiamo tutti nella stessa direzione. Lo scorso anno remavamo in pochi e qualcuno andava addirittura controcorrente”.
La replica di Scifo è durissima: “Ho letto che mi ha attaccato sulla stampa, ha detto che io dividevo lo spogliatoio. Ridono tutti, anche i miei ex compagni. Loro lo conoscono come lo conosco io. Chi esce dal Toro poi può dire tutta la verità. Mondonico è un piccolo uomo. Se il Toro vince il merito è suo, se perde la colpa è dei giocatori”. Poi rincara la dose: “È lui il grande pericolo per l’unità del gruppo granata. Ma ora basta, mi sto disintossicando anche da questo. Arrivederci calcio italiano, arrivederci Torino e buona fortuna. Ne avete bisogno”.
“Tutti sorridenti meno qualcuno”—
La risposta di Mondonico non si fa attendere. Da Rivolta d’Adda, dove si gode una giornata di riposo dopo la Supercoppa Italia persa a Washington contro il Milan, replica: “Premesso che non ho mai attaccato Vincenzo sulla stampa, perché se ho da dire qualcosa a qualcuno glielo dico a quattrocchi, trovo che sia disonesto e vile servirsi della televisione o dei giornali per criticare o insultare”. Poi aggiunge un invito ai giornalisti: “Se davvero sono tutti del suo parere non capisco perché non si rivolgano, o non si siano rivolti, al presidente Goveani chiedendo di cambiare un allenatore che ha la colpa di rovinare l’armonia della squadra”.
A intervenire sono solo due ex compagni di Scifo, Annoni e Fusi, che difendono il tecnico: “Mai l’allenatore s’è messo sul piedistallo, mai s’è appropriato delle vittorie scaricando su di noi la responsabilità delle sconfitte. Macché spogliatoio diviso, è sempre stato unito”.
Sull’argomento è tornato poi anche lo stesso Mondonico, con un’osservazione tagliente: “L’unione è stata la forza del Torino. Se tra di noi ci fossero stati contrasti non saremmo mai riusciti a conquistare la Coppa Italia o a smentire tutti quanto un anno fa. Ci davano per morti”. Chiude con un dettaglio simbolico: “Guardatevi il poster della squadra dopo la Coppa Italia, lì sono tutti sorridenti meno qualcuno”.
“Io sono contento così”—
Con la maglia del Monaco, Scifo vince una Division 1 nel 1997 e raggiunge due semifinali europee: in Champions nel 1994 e in Uefa nel 1997, contribuendo anche alla maturazione di giovani talenti destinati a lasciare il segno, come Thierry Henry e David Trezeguet. Partecipa ai Mondiali del ’94 e del ’98, portando a quattro le sue apparizioni alla Coppa del Mondo – un primato mai raggiunto da nessun altro giocatore belga.
Chiude la carriera nel 2000 in Belgio. Dopo un ritorno all’Anderlecht, Scifo vive un momento drammatico: durante un intervento chirurgico per una lussazione alla spalla, sopraggiungono gravi complicazioni respiratorie, con un edema polmonare che mette a rischio la sua vita. I medici escludono la possibilità di un ritorno in campo, ma lui non ci sta. Recupera, sfida ogni pronostico, e rientra con la maglia dello Charleroi. Un anno dopo, il 5 dicembre 2000, annuncia il suo addio al calcio.
“Un calciatore incompleto? Trovatemi altri che possono vantare i miei stessi record. Ci sono, certo, ma mica sono tanti. Io sono contento così”.
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