MESAGNE – Se a Mesagne qualcuno ha pensato che la Scu fosse solo un lontano ricordo, il blitz di ieri dei carabinieri e altre inchieste recenti stanno lì a ricordare che non si canta mai vittoria troppo presto. Ovviamente, di passi in avanti ce ne sono stati, non ci sono più morti ammazzati e il centro storico non è più zona franca. Alcuni esponenti del clan egemone in città, quello della frangia dei “mesagnesi”, tentano di imborghesirsi, buttandosi sugli affari leciti e puliti. E soprattutto non vogliono che si faccia rumore. Ergo, Mesagne deve essere tranquilla.
Il blitz dei carabinieri di ieri ha fatto registrare i soliti comunicati stampa dei politici locali. Applausi alle forze dell’ordine, complimenti ai magistrati, bene, bravi, bis, anche la politica deve fare la sua parte. Poi, quando si tratta di passare dalle parole ai fatti, non sia mai che un Comune si costituisca parte civile in processi come questo, a parte una lodevole eccezione del passato più recente (leggi l’articolo).
Dall’inchiesta coordinata dalla pm Carmen Ruggiero emerge una zona grigia preoccupante. C’è l’imprenditore che assume Daniele Vicientino, così viene ammesso al programma di trattamento definitivo per concessione e inizio della misura della semilibertà, per esempio. Non commette reato l’imprenditore, ci mancherebbe. Ma va inquadrata la “facilità” nel trovare lavoro. C’è il consenso sociale, rilevato dal giudice Maritati, di cui gode Tobia Parisi.
A un certo punto millanta anche conoscenze con personaggi politici, Parisi. Conoscenze che non trovano alcun riscontro nelle indagini, va subito detto. Niente politica, per fortuna, ma che il clan godesse di un elevato grado di penetrazione nel tessuto sociale mesagnese non è una millanteria. Come si spiegano altrimenti gli imprenditori o i cittadini che si rivolgono agli affiliati per recuperare denaro prestato (poi si fa a metà) o per far venire a più miti consigli imprenditori di “fuori città”?
Si spiega col controllo del territorio del clan, con la solidità economica del “core business” – la droga, come sempre; la domanda non manca mai -, con il versamento sistematico del “punto” per sostenere i detenuti e i famigliari. Col duplice obiettivo di rimpinguare le casse e dimostrare chi comanda. E infine c’è l’omertà. Pochi denunciano torti, pochissimi estorsioni. Nonostante il “basso profilo” – minore ricorso a forme eclatanti di violenza – del clan. O forse anche per quello.
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