A proposito del potere dei film: come vede la tanto discussa acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix o di Paramount? A Hollywood parlano della morte del cinema…
«Ho avuto la fortuna di lavorare a Hollywood quando ancora si facevano film come opere d’arte. È stato l’ultimo colpo di coda di un drago che stava per volare via. Il punto di non ritorno è rappresentato dall’uscita di House of Cards – Gli intrighi del potere, un serie televisiva che per prima scritturò attori di serie A. Poco dopo arrivò Netflix che inglobò tutti i serial di alto livello. Da quel momento, gli Studios hanno visto il pubblico di qualità transitare dai cinema alle piattaforme di streaming. Ed è stato il caos: tutti sono andati nel panico pensando di risolvere la situazione producendo decine e decine di prodotti Marvel, di prequel, di reboot, di remake. Era il 2015 e quell’onda ha creato lo tsunami che ci ha portati fino a questa acquisizione. Io spero che sia Paramount a vincere la partita per dare speranza al cinema contro le produzioni da algoritmo. I film, infatti, hanno la missione di inventare e di emozionare. Mentre oggi le produzioni da algoritmo stanno impigrendo la fruizione dello spettatore che si adatta al ribasso della qualità. Ma il cinema ha il compito di provocare, di scuotere. Quanti film oggi lo fanno ancora?».

Gabriele Muccino «Oggi le donne hanno più capacità di controllo nel dire e nellaffrontare le cose non dette gli uomini...Gabriele Muccino «Oggi le donne hanno più capacità di controllo nel dire e nellaffrontare le cose non dette gli uomini...Gabriele Muccino «Oggi le donne hanno più capacità di controllo nel dire e nellaffrontare le cose non dette gli uomini...Giacca e camicia Emporio Armani.

Giacca e camicia, Emporio Armani.

Me lo dica lei: chi provoca, chi è in grado di scuotere ancora?
«Gli esempi ci sono. Sono pochi, ma ci sono. Penso a un film recente come Una battaglia dopo l’altra. O a produzioni affascinanti come Povere creature! di Yorgos Lanthimos. Sono pellicole che si rifanno al grande cinema americano degli anni Settanta. Mentre oggi sulle piattaforme c’è una sorta di mash-up dove ogni angolo viene smussato. E anche questa ossessione per l’inclusione di tutto che finisce spesso per rendere la realtà del cinema così distante da quella vera! Il mondo è più cinico, più duro, più cattivo. E togliere al cinema la possibilità di essere cinico, duro e cattivo significa togliergli la spina e spegnere la macchina da presa».

Se a Hollywood non tira una buona aria, in Italia si parla addirittura di non girare più film. Che cosa pensa dei tagli governativi ai fondi destinati alle produzioni cinematografiche?
«Intorno a me vedo un grande panico. C’è allarmismo e sento già parlare di piani B. Mi spiego: quello che questo governo sta cercando di fare è spegnere il cinema italiano. Ma così facendo, non spegnerà i cineasti, perché chi potrà andrà a girare in Spagna, in Ungheria, in Inghilterra, in Marocco dove, per esempio, ho girato Le cose non dette. In tutti questi posti, infatti, esistono le stesse normative di agevolazioni e rimborsi che qui si contestano. In tutto il mondo ci sono leggi migliorabili, come migliorabile può essere quella italiana. La dislocazione dei cineasti, però, non ucciderà il cinema italiano, ma – peggio – la sua filiera di macchinisti, autisti e delle maestranze che lavorano dietro le quinte. Per non parlare degli albergatori, dei ristoratori, dell’impatto sulle strutture ricettive. Ci sono un’ideologia e una grandissima miopia economica che non riusciranno a uccidere il cinema, ma che impoveriranno ulteriormente la realtà del nostro Paese».