di
Giuliana Ferraino

Il presidente della Confindustria tedesca Leibinger: «Il Paese rischia una deindustrializzazione irreversibile. La Cina ha copiato il nostro modello». Crescita zero e 3 milioni di disoccupati

Ancora cattive notizie dalla Germania. Peter Leibinger, presidente della BDI, la Confindustria tedesca, sostiene che il clima nel Paese è «estremamente negativo, in parte addirittura aggressivo». E che «le aziende sono profondamente deluse». In un’intervista alla Süddeutsche Zeitung, emerge un quadro allarmante anche per l’Italia, di cui la Germania è il principale partner commerciale

E’ «la crisi economica più grave dalla fondazione della Repubblica Federale» nel 1949, afferma Leibinger. Non si tratta di una semplice congiuntura negativa ciclica, ma di una crisi strutturale profonda, sottolinea. Il timore è di una «deindustrializzazione irreversibile». Se un uomo noto per la moderazione e i toni pacati usa toni apocalittici, significa che la situazione è estremamente grave. I «campanelli d’allarme devono suonare», perché il modello economico tedesco è sotto attacco su più fronti: costi dell’energia, burocrazia, competizione globale, avverte il numero uno degli industriali.



















































Investimenti in infrastrutture e digitale, ma l’economia ristagna

I numeri gli danno ragione. Nonostante la «rivoluzione» del Cancelliere Merz, che in primavera ha allentato il freno al debito previsto dalla costituzione, esentando le spese militari e stanziando 500 miliardi di investimenti (nell’arco di 10-12 anni) in infrastrutture e digitalizzazione, l’economia reale ristagna. Berlino chiuderà l’anno con un Pil stimato tra 0 e +0,1%, secondo le stime del Consiglio degli esperti economici, e quasi 3 milioni di disoccupati secondo l’Ifo (il settore manifatturiero ha perso oltre 500 mila posti di lavoro dai picchi pre-Covid), mentre il tasso di disoccupazione è salito al 6,3%.

La crisi dell’automotive

Il simbolo di questo declino è l’industria automotive. Il settore, fiore all’occhiello del Made in Germany, deve fare i conti con la concorrenza aggressiva dei veicoli elettrici cinesi a basso costo e gli alti costi energetici. I ritardi nell’innovazione digitale e nelle batterie, inoltre, hanno reso colossi come Volkswagen vulnerabili, portando a piani di ristrutturazione e chiusure di impianti che fino a pochi anni fa erano impensabili.

L’espansionismo russo

A complicare il quadro economico c’è la dimensione geopolitica. La Germania teme l’espansionismo russo più di ogni altro grande Paese occidentale. In un recente incontro a Villa Vigoni dedicato al Dialogo italo-tedesco, più di un imprenditore ha espresso la convinzione che in Germania non è tanto una questione di «se» ma di «quando» Mosca attaccherà l’Europa. Il riarmo di Berlino risponde dunque a una paura reale della società.

Il problema è che i soldi per le infrastrutture (ponti, ferrovie) sono lenti da spendere a causa della burocrazia tedesca. Inoltre, la riforma del nuovo governo ha aiutato la difesa (Rheinmetall, Hensoldt) e l’edilizia pubblica, ma non ha abbassato i costi operativi immediati per le aziende private energivore. Le tasse sulle imprese rimangono tra le più alte dell’Ocse e il prezzo dell’elettricità è ancora doppio rispetto agli Stati Uniti o alla Cina. Leibinger nota che, nonostante i soldi, c’è una «atmosfera aggressiva» contro il governo perché le aziende non vedono sollievo nei loro bilanci attuali, ma solo promesse di cantieri futuri.

La competizione con la Cina

L’intervista tocca un altro nervo scoperto: la competizione della Cina, che Leibinger accusa apertamente di aver «copiato il modello tedesco». Secondo il presidente della BDI, la Germania ha commesso l’errore strategico di credere che la divisione del lavoro sarebbe durata per sempre: la Germania forniva le macchine e la tecnologia (il know-how), mentre la Cina forniva la manodopera e il mercato di massa.

Il «modello Germania» è entrato in crisi

Invece la Cina ha studiato meticolosamente il «Modello Germania», basato su un forte surplus commerciale, manifattura avanzata e le hidden champions, cioè le medie imprese leader mondiali. Pechino non si è infatti limitata a comprare prodotti tedeschi; ha usato gli ultimi 20 anni per assorbire la tecnologia e i processi produttivi tedeschi, spesso tramite joint venture forzate. Ora la Cina ha replicato quel modello ma su una scala immensamente più grande e con costi inferiori. Non hanno più bisogno dei macchinari tedeschi perché sono loro a produrli e a venderli sul mercato globale, diventando diretti concorrenti della Germania nei settori ad alto valore aggiunto (auto elettriche, macchinari industriali, chimica).

Il malato d’Europa e il tempo delle riforme

In un momento in cui la Germania si trova spesso descritta come il «malato d’Europa», non c’è più tempo per le riforme graduali. Serve piuttosto una terapia d’urto per salvare il sistema industriale tedesco, ma questa terapia deve rimanere all’interno del perimetro democratico ed europeista, escludendo le frange estremiste, come l’AfD. Per l’industria tedesca, orientata all’export e dipendente dall’apertura dei mercati e dall’attrazione di talenti stranieri, l’isolazionismo e la xenofobia dell’AfD rappresentano un «veleno», sostiene infatti il presidente della BDI.

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16 dicembre 2025 ( modifica il 16 dicembre 2025 | 17:35)