di
Stefano Pancini
La ricerca condotta dalla dottoressa piacentina Daniela Petraglia con l’obbiettivo di valutare accessi al pronto soccorso e ai Cau: «L’87% degli accessi avviene su iniziativa autonoma del paziente, spesso senza alcun contatto con il medico e solo nel 2% dei casi non rispondiamo»
«Accessi inappropriati in pronto soccorso: il ruolo della Medicina Generale. Studio osservazionale nella provincia di Piacenza» è la ricerca condotta dalla dottoressa piacentina Daniela Petraglia, 34 anni, laureata a Pavia, specializzata a Reggio Emilia e attualmente in servizio in Val Tidone, insieme ai colleghi medici della provincia di Piacenza Mariacristina Arbasi, Matteo Carusone, Mauro Moretto ed Elena Quarantelli, sotto la supervisione del bolognese Marco Cupardo.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista della Simg (Società Italiana dei Medici di Medicina Generale e delle Cure Primarie).
L’obiettivo della ricerca è stato valutare l’inadeguatezza degli accessi al pronto soccorso e ai Centri di assistenza e urgenza (Cau) nella provincia di Piacenza, superando il limite rappresentato dal solo riferimento al codice di triage e analizzando l’efficacia della Medicina Generale come filtro di accesso a tali servizi.
Dottoressa Daniela Petraglia, come è nato questo progetto di ricerca?
«L’idea nasce da un sentimento diffuso tra i medici di famiglia: sentirci spesso accusati, da politica e media, di essere “introvabili” e quindi corresponsabili dell’affollamento dei pronto soccorso. L’esperienza quotidiana ci mostrava una realtà diversa e volevamo verificarla con dei dati, superando l’interpretazione limitante del solo codice di triage».
Come avete impostato lo studio?
«Abbiamo raccolto 300 accessi al pronto soccorso in 77 giorni, riferiti ai pazienti di quattro medici di base della provincia di Piacenza. Per ogni accesso abbiamo verificato se il paziente avesse tentato di contattare prima il proprio medico di famiglia, se ci fosse stata una consulenza o una visita (domiciliare o ambulatoriale) e se il curante avesse consigliato al proprio paziente di ricorrere al pronto soccorso. Abbiamo poi chiesto ai medici di medicina generale di esprimere un giudizio di appropriatezza, caso per caso, indipendentemente dal colore assegnato dal triage».
E cosa avete scoperto?
«I risultati mostrano che il 51% degli accessi è stato giudicato inappropriato, con l’87% avvenuto su iniziativa autonoma del paziente, spesso senza alcun contatto con il curante. Nei casi in cui il medico di medicina generale è stato coinvolto, l’appropriatezza dell’accesso sale al 79%. Gli accessi autonomi per mancata risposta da parte del medico di famiglia entro il tempo di ingresso in pronto soccorso erano il 2%. Lo studio suggerisce che il mancato ricorso da parte del paziente al filtro medico, più che una presunta inefficienza della medicina generale sia un fattore determinante per l’affollamento improprio dei pronto soccorso. Da qui, i dati smentiscono la narrazione secondo cui i pronto soccorso si riempiono perché il medico di base non risponde».
Perché i cittadini rinunciano a contattare il proprio medico?
«C’è molta confusione, anche a causa della moltiplicazione dei servizi: guardia medica, Cau, pronto soccorso. In Emilia-Romagna i Cau avrebbero dovuto rappresentare un livello intermedio, con diagnostica di base e personale infermieristico. Nella provincia di Piacenza, però, spesso sono collocati dentro gli ospedali e finiscono per esserne percepiti come un’estensione dei pronto soccorso. Da qui, molti cittadini non sanno più quale sia il servizio adeguato al proprio problema».
Il problema è quindi anche organizzativo?
«Sì. Creare più servizi senza potenziare quelli già esistenti rischia di frammentare ulteriormente le risorse. Le guardie mediche soffrono una grave carenza di personale: molti giovani preferiscono i Cau e alcune sedi restano scoperte. Paradossalmente, aumentare i servizi ha “sbriciolato” le nostre forze invece di rafforzarle».
Cosa servirebbe davvero?
«La Medicina Generale chiede da anni strumenti diagnostici di primo livello negli ambulatori: ecografie base, elettrocardiogramma… esami rapidi. Basterebbe questo per evitare molti accessi impropri. Più che creare nuovi livelli di assistenza, bisognerebbe rafforzare quelli esistenti e chiarire ai cittadini come orientarsi. E il nostro studio mostra come la maggior parte degli accessi inappropriati in pronto soccorso siano dovuti all’assenza di filtro medico per scelta del paziente più che a una reale inefficienza della Medicina Generale, che invece quando coinvolta è in grado di esercitare un’efficace funzione di filtro riducendo gli accessi inappropriati».
Il vostro lavoro ha ottenuto anche un premio.
«Sì, la Società Italiana dei Medici di Medicina Generale e delle Cure Primarie ha premiato il nostro studio, lo scorso 29 novembre a Firenze, in occasione del 42° congresso, selezionandolo tra 66 lavori. È un riconoscimento importante per un tema che riguarda tutti: medici, pazienti e l’intero sistema sanitario».
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16 dicembre 2025 ( modifica il 16 dicembre 2025 | 17:31)
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