Il presidente Usa appare sempre più indebolito dai dissensi che emergono, anche a destra, per le sue dichiarazioni. Su «Vanity Fair» le parole della fidatissima capo di gabinetto Susie Wiles
Dopo le sconfitte repubblicane in varie elezioni locali, la spaccatura nel movimento Maga, i sospetti di un suo coinvolgimento nello scandalo Epstein, Donald Trump appare sempre più indebolito dai dissensi che emergono anche a destra per le sue azioni e le sue dichiarazioni: dall’uccisione senza indagini e processo di decine presunti narcotrafficanti venezuelani, colpiti in acque internazionali, al suo cinico commento all’assassinio del regista Rob Reiner, secondo lui vittima di una sindrome da «Trump derangement». Vale a dire uno squilibrio mentale provocato dall’astio per il presidente. Una sortita che ha provocato reazioni indignate anche nel fronte conservatore.
Stavolta sono scesi in campo contro di lui molti deputati e senatori repubblicani, tanto centristi quanto radicali. Dal vecchio senatore John Kennedy della Louisiana ai deputati Don Bacon, Stephanie Bice e Mike Lawler. All’attacco anche la ex pasionaria di Trump, ora sua contestatrice (e deputata dimissionaria) Marjorie Taylor Greene, mentre Thomas Massie, un altro repubblicano, deputato del Kentucky, molto critico con Trump, invita il partito a ribellarsi a queste sortita «inappropriata e irrispettosa» davanti a una tragedia familiare alla quale Trump cerca di dare un colore politico.
Massie si rivolge direttamente ai suoi colleghi parlamentari, ma anche «al vicepresidente Vance e allo staff della Casa Bianca» chiedendo loro se stanno zitti perché hanno paura e li sfida a difendere le parole inaccettabili di Trump. Il quale però subito dopo, avendo l’opportunità di correggere il tiro rispondendo a una domanda di un giornalista, ha sostanzialmente confermato davanti alle telecamere quanto scritto in un post della sua piattaforma Truth Social.
Intanto, però, proprio nel suo staff scoppia un altro caso: quello della fidatissima capo di gabinetto, Susie Wiles, fin qui considerata la più stretta collaboratrice del presidente, anche da lui che a volte la chiama Susie Trump. In 11 conversazioni con Vanity Fair avvenute nel corso dell’ultimo anno e pubblicate ieri dalla rivista, la Wiles distribuisce giudizi negativi o addirittura sprezzanti su molti personaggi-chiave del governo e sullo stesso presidente.
Parla di Trump come di un «alcolizzato sobrio»: il presidente non beve, ma la Wiles gli attribuisce una «personalità alcolica» nel senso che in alcune circostanze tende ad avere reazioni esagerate simili a quelle che lei ha visto in passato da parte di persone alcolizzate.
Per la Wiles, poi, il vicepresidente JD Vance è uno che è stato cospirazionista per 10 anni e che poi si è convertito al trumpismo quando ha deciso di candidarsi al Senato: quindi presumibilmente per motivi politici. Pam Bondi, la ministra della Giustizia, ha gestito «in modo totalmente sballato» il caso Epstein, a partire dalla dichiarazione iniziale di avere sulla sua scrivania l’elenco dei clienti del miliardario pedofilo mentre non esisteva alcuna lista. Russell Vought, direttore del Bilancio e uomo-chiave nell’attuazione dei programmi di Trump, è un uomo di estrema destra, uno «zelota assoluto».
Un ceffone anche a Musk: un’«anatra strana», una personalità eccentrica «come tutti i geni» che quando ha detto che Hitler, Stalin e Mao non avevano ucciso milioni di persone, ammazzate, invece, dai loro dipendenti pubblici (cioè dalla burocrazia), era nella «sua fase di microdosaggio». Un riferimento all’assunzione di una droga, la ketamina, della quale il miliardario ha ammesso di aver fatto uso in passato, ma non nell’ultimo anno.
La Wiles ha cercato di correggere il tiro su questo punto (e forse lo farà anche su altro) sostenendo di non aver mai alluso a droghe, ma il New York Times, avendo ottenuto da Vanity Fair la registrazione delle conversazioni, conferma le parole della chief of staff di Trump. Che nei colloqui ha rivendicato il suo ruolo esecutivo, rispettoso delle scelte del presidente, ma ha anche fatto capire che più volte è stata in dissenso: gli aveva chiesto di smettere di cercare vendetta nei confronti dei suoi nemici politici dopo i primi tre mesi di presidenza, ma poi Trump ha tirato dritto. E sulle detenzioni degli immigrati ammette che ci sono stati eccessi e qualche comportamento disumano, mentre su Bill Clinton, che secondo Trump è stato sull’isola di Epstein e sarebbe per questo perseguibile, la Wiles afferma seccamente che non esiste alcuna prova in proposito.
Alle prese con questi dissensi all’interno del suo team e con le rivolte del popolo Maga (ieri l’ultrà di estrema destra, ma con un notevole seguito, Nick Fuentes che lo contesta da tempo, ha detto che le «disgustose parole» di Trump sulla morte dei Reiner dimostrano che il presidente è vuoto dentro), per Trump si apre ora un’altra falla sul fronte che lo vede in maggiore difficoltà: il crescente nervosismo dei repubblicani che, col peggioramento dell’economia e con un presidente ondivago che continua a perdere terreno nei sondaggi, temono una severa sconfitta alle elezioni di mid term del prossimo novembre.
Trump cerca di rassicurarli promettendo un 2026 di grande ripresa produttiva che dovrebbe essere innescata dalle misure della sua legge di bilancio (un atto di fede che lascia perplessi gli economisti). Intanto, però, Josh Hawley, influente senatore del Missouri, uno dei giovani leoni conservatori del partito, ha creato un’organizzazione che finanzierà una campagna mirante ad associare in molti Stati un referendum antiabortista al voto di novembre per Camera e Senato.
Per la Casa Bianca un’iniziativa inaccettabile nel metodo e politicamente suicida, visto che, come fanno presente anonimi consiglieri del presidente «nel 2022, il partito democratico fu resuscitato nelle elezioni di mid term proprio grazie alla sentenza della Corte Suprema contro l’aborto». Il fronte pro life al quale fa appello Hawley è minoritario nel Paese (43% secondo i sondaggi Gallup).
Il team Trump teme che l’iniziativa di Hawley possa diventare un’ulteriore zavorra in vista del prossimo voto e la interpreta anche come il suo modo di prepararsi a sfidare Vance e Rubio per le presidenziali 2028.
Gongola James Carville, vecchio stratega elettorale dei democratici: «Trump sei fregato, sei finito, l’immigrazione non funziona più, sei un loser, un perdente. Vieni sconfitto ovunque, niente più mago Hudini».
16 dicembre 2025 ( modifica il 16 dicembre 2025 | 20:06)
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