di
Simone Canettieri

Foti al lavoro per arrivare a una posizione unitaria nel centrodestra in vista del voto parlamentare. La premier pranza al Quirinale con Mattarella

Con una mano ha cesellato il discorso che pronuncerà oggi in Parlamento, con l’altra ha cercato di chiudere i grandi dossier che l’attendono a Bruxelles domani e venerdì per il Consiglio europeo: la complicata gestione degli asset russi e il Mercosur. Il giorno dopo la cena a Berlino con i leader europei, Giorgia Meloni ha vissuto un martedì in «modalità multitasking». Tanti fronti aperti, fuori e dentro casa, anche se alla fine tutti convergenti: la guerra in Ucraina resta centrale.

In mezzo la premier ha avuto anche un pranzo al Quirinale con il capo dello Stato Sergio Mattarella nel corso del quale ha ribadito i forti dubbi sullo scongelamento, senza solide garanzie giuridiche e finanziarie, dei beni sequestrati a Mosca. 



















































Non è finita qui perché a rendere la giornata movimentata c’è stato il plauso della portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova a Matteo Salvini sulla imbattibilità del Cremlino. Nessun commento ufficiale da Palazzo Chigi, figurarsi, anche se una nota informativa del centro studi di Fratelli d’Italia, pensatoio meloniano per eccellenza, ha diffuso con perfido sincronismo un parere nettamente contrastante rispetto a quanto dice il capo della Lega per la gioia di Zakharova.

Se Salvini elogia la potenza di Mosca nel conflitto con Kiev, il dispaccio di FdI parla, con tanto di grafiche e cartine geografiche, di «Cremlino impantanato in un inaspettato conflitto di logoramento che è stato possibile anche grazie al sostegno che l’Ucraina ha trovato nell’Occidente unito». Per il centro studi di Via della Scrofa, una volta diretto dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari e ora dal suo braccio destro il deputato Francesco Filini, Putin si trova a fare i conti con «una figuraccia che inasprisce ancor di più la posizione della Russia».

L’argomento resta abbastanza divisivo nel centrodestra, alle prese con la risoluzione che dovrà essere votata in Parlamento oggi. Fino a tarda notte il ministro degli Affari europei Tommaso Foti ha cercato di trovare una sintesi con i capigruppo e i leader per arrivare a un testo che tenga anche conto della cena di Berlino. 

Foti nella chat che ha creato per l’occasione con gli alleati ha condiviso nel corso della giornata le varie bozze pregando tutti di leggerle, ma di scrivergli «in privato» per eventuali correzioni. Un modo per evitare dibattiti, commenti caustici, fughe di notizie e discussioni eterne tipo le chat di classe. Un accorgimento, quello del ministro, che è la spia di un clima più frizzante. Per esempio: l’espressione «sostegno multidimensionale» all’Ucraina» al posto dell’aggettivo «militare» resterà come chiede Salvini? Questa mattina si capirà. E si troverà una sintesi, al contrario dei cinque partiti di opposizioni pronti a dividersi con mozioni separate. 

Resta la distanza fra M5s e Pd, per dire. Un piccolo aiuto per Meloni, tornata da Berlino convinta che «l’Italia continua «a essere centrale» in un’ottica «di forte convergenza» fra Europa, Stati Uniti e Ucraina. La cena chez Merz, culminata con una dichiarazione corale, ha avuto anche una piccola coda informale. Quando è terminato il vertice, vista la massiccia presenza di delegazioni che dovevano attraversare la città per prendere la strada dell’aeroporto, il cerimoniale e l’apparato di sicurezza hanno deciso di fare uscire le auto dei leader in maniera scaglionata. Meloni è stata la terzultima ad andarsene, un’ora dopo il gong. Tempo prezioso per scambiare una serie di opinioni informalissime con il padrone di casa, il cancelliere tedesco. 

Ma anche con Emmanuel Macron, Ursula von der Leyen e António Costa. Forse si potrebbe scommettere un euro sulla possibilità che la premier abbia parlato con il presidente francese, con la presidente della Commissione Ue e con il numero uno del Consiglio europeo di Mercosur. Così com’è l’Italia non lo voterà, ma non vuole nemmeno che salti. Ecco perché l’ipotesi del rinvio, al netto di un accordo lampo sui correttivi, resta molto quotata a Palazzo Chigi. 

Discorso ancora più complesso per gli asset russi: Meloni teme ritorsioni alle imprese italiane che lavorano in Russia, vuole che quei soldi siano usati per la ricostruzione dell’Ucraina, quindi in un secondo momento, davanti a venti miliardi di garanzie (il costo di una Manovra) non è intenzionata a fare nuovo deficit.


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16 dicembre 2025 ( modifica il 16 dicembre 2025 | 21:58)