Con un aumento medio dei prezzi delle case superiore al 60% e degli affitti superiore al 20% negli ultimi dieci anni, milioni di europei hanno difficoltà a trovare un alloggio a prezzi accessibili. Per affrontare questa situazione, la Commissione europea ha presentato il suo primo Piano europeo per l’edilizia popolare, accolto con favore dal Parlamento europeo, che da tempo chiedeva interventi più decisi in materia.

L’esecutivo comunitario punta a rilanciare l’edilizia accessibile aumentando l’offerta di alloggi, sbloccando investimenti e semplificando le regole che frenano nuove costruzioni e ristrutturazioni. 

Il piano, presentato dal commissario danese Dan Jørgensen, responsabile dell’Edilizia abitativa, prevede aiuti di Stato più flessibili per l’housing sociale e accessibile, interventi contro gli affitti turistici nelle aree sotto pressione e una strategia europea per rendere il settore delle costruzioni più produttivo, sostenibile e innovativo. Bruxelles vuole mobilitare nuovi finanziamenti, anche attraverso una piattaforma paneuropea per gli investimenti, e concentra il sostegno su giovani, studenti, lavoratori essenziali e persone a basso reddito, rafforzando anche le politiche contro la homelessness basate sul principio “Housing First”.

“Il piano della Commissione per l’edilizia popolare riflette ciò che sosteniamo da tempo: aumentare l’offerta di alloggi, eliminare oneri inutili e sproporzionati, sostenere i giovani e le famiglie, facilitare gli investimenti e garantire finanziamenti adeguati. Queste misure concrete danno più potere alle autorità locali e offrono soluzioni reali affinché tutti gli europei possano costruirsi una casa”, ha rivendicato il popolare spagnolo Borja Giménez Larraz, autore della relazione del Parlamento sulla crisi immobiliare nell’Ue.

Una crisi strutturale e diffusa

Quella abitativa è diventata un fenomeno strutturale su scala europea, anche se assume forme diverse da Paese a Paese. Come sottolinea uno studio del Think Tank del Consiglio Ue, in tutta l’Unione i prezzi delle abitazioni sono cresciuti a ritmi nettamente superiori ai redditi, con un aumento medio di oltre il 60% nell’ultimo decennio, mentre gli affitti sono saliti in modo più graduale ma costante. Il risultato è un progressivo deterioramento dell’accessibilità, soprattutto nelle aree urbane, dove vive già più del 70% della popolazione europea.

La pressione abitativa non riguarda solo chi affitta o chi cerca di acquistare casa. Anche i proprietari, soprattutto quelli senza mutuo, sono sempre più colpiti dall’aumento dei costi energetici e di manutenzione, legati a uno stock immobiliare vecchio e inefficiente. Oggi quasi una famiglia europea su dieci ha avuto difficoltà a pagare affitto o mutuo, mentre il peso complessivo della casa sul reddito disponibile sfiora il 20% a livello Ue, con picchi molto più elevati nei grandi centri urbani.

Gli affitti brevi e la diffusione di piattaforme come Airbnb incidono in modo rilevante in molte città e aree a forte vocazione turistica, soprattutto internazionale, ma rappresentano solo una delle componenti di un problema molto più complesso, che riguarda anche territori lontani dai flussi turistici.

Domanda e offerta, il nodo centrale

La causa strutturale principale resta il persistente squilibrio tra domanda e offerta. In Europa si costruiscono poche abitazioni da quasi vent’anni. Dopo il crollo seguito alla crisi finanziaria del 2008, il settore residenziale non ha mai recuperato pienamente e la pandemia ha ulteriormente rallentato cantieri, autorizzazioni e investimenti. Negli ultimi anni, l’aumento dei tassi di interesse e il forte rincaro dei costi di costruzione hanno reso ancora più difficile avviare nuovi progetti, soprattutto nel segmento dell’edilizia accessibile.

A questo si aggiunge la scarsa qualità dello stock esistente. La grande maggioranza degli edifici europei è stata costruita prima del 2000 e presenta prestazioni energetiche scadenti. Questo si traduce in bollette elevate, maggiore esposizione alla povertà energetica e costi crescenti per famiglie già sotto pressione.

Dan Jørgensen, responsabile dell'Edilizia abitativa - foto Dati Bendo/Commissione-2

Effetti su crescita e lavoro

La casa non è più solo un bene essenziale: è diventata un fattore determinante per la competitività economica e la coesione sociale europea. Nell’Ue la spesa abitativa assorbe in media circa un quinto del reddito disponibile, e oltre il 40% per una quota significativa di affittuari nelle grandi città, comprimendo consumi e risparmio.

L’impatto più profondo riguarda però il mercato del lavoro. In un contesto in cui meno del 3% dei cittadini europei si sposta ogni anno tra regioni per motivi occupazionali, l’aumento dei prezzi delle abitazioni nelle aree più dinamiche scoraggia la mobilità geografica e limita la capacità delle città di attrarre lavoratori, riducendo il loro potenziale di crescita.

Le preoccupazioni dei cittadini

Come mostra un sondaggio commissionato dal gruppo socialista del Parlamento europeo, per una larga maggioranza degli europei la crisi abitativa è una difficoltà quotidiana. Il 31% degli intervistati afferma che la propria situazione abitativa è peggiorata negli ultimi cinque anni, mentre oltre sei su dieci (62%) temono di non potersi permettere una casa dignitosa in futuro. La percezione del problema attraversa Paesi e gruppi sociali diversi, soprattutto nelle aree urbane, dove l’aumento di prezzi e affitti continua a superare la crescita dei redditi.

La casa è vissuta sempre più come una fonte di insicurezza e rinunce. Il 43% degli europei dichiara di aver avuto problemi legati all’abitare con conseguenze concrete, come la necessità di lavorare di più o indebitarsi, ritardi nei pagamenti o il rinvio di scelte di vita importanti. In parallelo, cresce l’idea che il mercato immobiliare sia distorto: il 56% indica i prezzi di acquisto troppo elevati come uno dei principali problemi, il 45% cita l’aumento degli affitti e quasi la metà segnala la carenza di alloggi accessibili.

La crescita della homelessness

La crescita del numero dei senzatetto rappresenta la forma più grave e visibile della crisi abitativa europea, ma per lungo tempo è rimasta ai margini del dibattito politico, trattata come un problema sociale residuale più che come il prodotto di un malfunzionamento strutturale dei mercati della casa. Le evidenze più recenti indicano invece che l’aumento delle persone senza dimora è strettamente legato alla crescente inaccessibilità dell’abitare, soprattutto nelle aree urbane.

Secondo uno studio del Think Tank del Parlamento europeo, in Europa circa 1,3 milioni di persone vivono in condizioni di homelessness, includendo persone che dormono in strada, in dormitori notturni o in sistemazioni temporanee. Di queste, quasi 400mila sono minori. Negli ultimi dieci anni il fenomeno è cresciuto di circa il 70%, con una diffusione che riguarda tutti gli Stati membri, seppur con intensità diverse. La mancanza di una definizione armonizzata e di dati pienamente comparabili rende difficile una misurazione precisa, ma il trend è considerato chiaro e generalizzato.

Il fenomeno colpisce in modo sproporzionato alcuni gruppi sociali, tra cui giovani adulti, famiglie monoparentali, migranti, persone anziane sole e lavoratori poveri. L’aumento dell’età media di uscita dalla casa dei genitori e la difficoltà di accesso a un’abitazione autonoma fanno sì che una quota crescente di giovani resti esposta a forme di precarietà abitativa, soprattutto nei contesti urbani.

Il ruolo dell’Ue 

Pur non avendo una competenza diretta in materia abitativa, l’Unione europea incide in modo significativo sulla crisi della casa attraverso regole, indirizzi politici e strumenti finanziari.

La leva più rilevante resta quella energetica e climatica. Attraverso la revisione della direttiva sulla prestazione energetica degli edifici e le politiche legate al Green Deal, l’Ue ha imposto obiettivi vincolanti di ristrutturazione e decarbonizzazione del patrimonio immobiliare. La riqualificazione energetica è presentata anche come mezzo per ridurre i costi abitativi e contrastare la povertà energetica.

Un secondo ambito chiave riguarda le regole di concorrenza e sugli aiuti di Stato. L’Ue consente agli Stati membri di sostenere il social housing attraverso deroghe mirate, ma all’interno di un quadro normativo che resta restrittivo e frammentato. La mancanza di una definizione europea condivisa di “social” e “affordable housing” limita la possibilità di interventi pubblici su larga scala e rappresenta uno dei principali nodi politici ancora irrisolti.

E del Parlamento europeo

Negli ultimi anni il Parlamento europeo ha spinto con crescente insistenza sulla necessità di affrontare la crisi abitativa e, in questa legislatura, ha creato una commissione speciale dedicata proprio alla crisi dell’housing. “Nel corso dell’ultimo anno, la nostra commissione ha valutato il fabbisogno abitativo negli Stati membri, l’impatto dei fondi dell’Ue nelle zone rurali e urbane, l’impatto degli affitti a breve termine, il ruolo di attori quali le cooperative e le organizzazioni senza scopo di lucro e le sfide strutturali che il settore dell’edilizia deve affrontare”, ha rivendicato la presidente della commissione, l’italiana Irene Tinagli del Pd, nel dare il benvenuto al piano della Commissione.

“Continueremo ora il nostro lavoro sulla relazione del Parlamento, nella quale sottolineeremo la necessità di incrementare gli investimenti pubblici e privati, intensificare le azioni a favore dei gruppi vulnerabili, dare priorità alla rivitalizzazione degli edifici vuoti e riformare le norme per rafforzare le autorità nazionali, regionali e locali”, ha aggiunto. L’Aula sta inoltre preparando una propria relazione sul problema dell’housing. “La semplificazione deve guidare la politica abitativa dell’Ue, riducendo gli oneri amministrativi, accelerando il rilascio dei permessi di costruzione e tagliando le inutili lungaggini burocratiche. Queste priorità sono essenziali”, ha affermato il relatore Giménez Larraz.