«Luce e oscurità si alternano nelle sue opere, la presenza convive con l’assenza, la forma dialoga con il contenuto. Rimandi all’estetica del cinema noir, ai coloristi scozzesi, alla pittura di Edward Hopper, Norman Rockwell, Gil Elvgren, si uniscono in uno stile peculiare capace di tratteggiare atmosfere evocative, in equilibrio tra bellezza e mistero: protagonisti sono gli attimi sospesi, fatti di incontri già avvenuti e di languide speranze, di cui mai conosceremo la sorte».
Bastano pochi tratti di pennello, alla curatrice Francesca Bogliolo, per descrivere l’arte di Jack Vettriano (Fife 1951-Nizza 2025) , il pittore scozzese recentemente scomparso al quale il Museo della Permanente di Milano rende omaggio con una mostra retrospettiva che ripercorre il suo percorso attraverso 80 opere, tra cui nove olii su tela, una serie di lavori su carta museale a tiratura unica, un video e il ciclo di fotografie scattate da Francesco Guidicini.
I suoi poster vanno a ruba
Molto amato e apprezzato dal pubblico italiano e internazionale per le sue opere dal gusto cinematografico e malinconico, Vettriano ha assunto, dopo averlo leggermente variato, il cognome della madre, Vettraino, originaria di Belmonte Castello (Frosinone). È il classico “irregolare” dell’arte. La vicenda di Jack Hoggan (il suo vero nome), sembra uscita dalle pagine di un romanzo vittoriano.
«Nato nella contea di Fife, sulla costa scozzese del Mare del Nord, in una famiglia legata all’estrazione del carbone – recita la sua biografia – inizia a lavorare precocemente, fin dai dieci anni, per contribuire alle finanze familiari e a soli sedici anni lascia la scuola per impiegarsi come apprendista tecnico minerario». Solo a ventun anni comincia a dipingere da autodidatta, dopo aver ricevuto un set di pennelli e acquerelli in regalo per il suo compleanno. Eppure la sua carriera, osteggiata dalla critica d’arte ufficiale che probabilmente non gli perdonava la sua formazione da autodidatta (e che lo accusava di riproporre una «estetica leggera»), ha avuto grande successo tra tanti appassionati di pittura, che gli riconoscono una «grande capacità di creare atmosfere evocative in grado di suscitare emozioni intense» e «l’abilità nel catturare momenti di elevata sensualità».
Al punto che oggi le sue riproduzioni su poster, cartoline, tazze e ombrelli vanno più a ruba di quelle di Van Gogh, Dalí e Monet. Le più iconiche sono l’ode all’amore romantico “The Singing Butler” (1992), venduto a 750mila sterline, e “The Billy Boys” (1998), ispirato a una vera gang scozzese e che richiama esplicitamente la locandina del film “Le iene”, di Quentin Tarantino. Ma anche altre riproduzioni stanno entrando ormai nell’immaginario collettivo (e nelle case) non solo della Gran Bretagna, ma di tutto il mondo.
«Onirico e contraddittorio»
«Osservare le opere di Jack Vettriano – aggiunge la curatrice – fornisce una prospettiva sul percorso di vita e sulla poetica artistica di un pittore il cui lavoro, per sua stessa ammissione, risulta quasi interamente autobiografico. Onirica, sensuale, romantica e contraddittoria, la pittura di Vettriano attraversa la dimensione simbolica del chiaroscuro che riverbera in molte delle sue opere, facendosi metafora di un’esperienza personale in bilico tra ombra e luce».
Non solo. «Vettriano – conclude Francesca Bogliolo – sa invitare a danzare, corteggia lo sguardo, lo accompagna al ballo senza fine della vita e lo consegna di volta in volta nelle mani di nostalgia, mistero, solitudine, intimità, fino a congedarsi con un inchino».
L’occasione per conoscerlo da vicino, fino al 25 gennaio, è offerta dalla retrospettiva alla Permanente di Milano.