di
Giuseppe Guastella
La procuratrice aggiunta di Milano: «Berlusconi si lasciò andare, mi guardò negli occhi e mi disse: “Lei ha un viso molto televisivo”»
Il 20 gennaio 1990 il Corriere della Sera scriveva che in pochi giorni lei era stata vittima dei ladri in casa, in treno e in ufficio. Sono passati 36 anni e sta per andare in pensione come procuratore aggiunto di Milano dopo quasi 40 anni in magistratura, dottoressa Tiziana Siciliano se lo ricorda?
«Mi avevano portato via tutti i gioielli da casa, poi mi avevano rubato il portafoglio in ufficio e poi, tornando in treno da Roma, mi avevano addormentato con uno spray e portato via la borsa».
Un bell’impatto per un magistrato. Che sensazione ebbe?
«Un senso di impotenza. Ero pretore e mi occupavo proprio di quei reati. Per il portafogli e la borsa pensai che forse era stata anche colpa mia, che ero stata un po’ incauta, per la casa fu diverso. Alla fine è stata una esperienza che mi ha fatto bene perché ha cambiato il mio modo di percepire questo genere di reati».
Cosa intende dire?
«Il nostro sistema, che giustamente ha grande attenzione per i diritti della difesa, a volte sembra disattento su quelli delle vittime. Il furto in casa mi aveva fatto capire che ci sono degli aspetti, come la violenza psicologica che subisci, che rischiano di non farti più credere nelle istituzioni. Quella esperienza ha rafforzato il mio impegno per coloro che se non vengono difesi da un sistema posto a loro tutela non verranno mai difesi da nessuno. Non a caso nella mia carriera mi sono occupata molto di reati che spesso vedono vittime i disgraziati, gli ultimi della terra».
Tipo?
«Le colpe mediche e gli infortuni sul lavoro».
Il magistrato come missione?
«Non è una missione, è un lavoro che va fatto con estremo rigore, consapevolezza e spirito laico deprivato di ideologie».
Il momento più importante della sua carriera?
«Quello per il quale ho subìto l’unico procedimento disciplinare. È stato il punto più alto di dignità».
Cosa successe?
«È stato un caso famoso, quello di un tassista accusato di abusi sulla sua bambina».
Era il 1998, lei sostituì un collega in udienza e, invece della condanna, chiese l’assoluzione.
«Misi in dubbio determinati protocolli che erano sempre stati applicati perché, secondo me, creavano il mostro ancora prima che ne fosse accertata l’esistenza. Mi resi conto che ci si affidava sempre agli stessi consulenti, che spesso avevano anche un interesse economico, secondo i quali si trattava invariabilmente di violenza sessuale e i bambini dovevano sempre essere portati via dalla famiglia. Ci furono colleghi che non mi salutarono più perché avevo osato incrinare l’unità formale della Procura».
Come finì al Csm?
«Rivendicai le mie ragioni. Fui assolta».
Nella sua lunga carriera ha seguito casi di tutti i generi. Lavorò a quello incredibile dell’attentato ad un chirurgo che portò all’incriminazione della vittima.
«Ero di turno, fui chiamata dalla polizia per un tentato omicidio a colpi di pistola. Non c’erano testimoni, non c’erano immagini di telecamere, mettemmo sotto intercettazioni tutto il suo entourage per capire se potesse essere vittima di estorsioni. Scoprimmo che chiedeva mazzette per fare gli interventi. Fu condannato per concussione. Non si è mai capito chi gli sparò e perché. Dato che faceva degli interventi sulla sfera della sessualità, i sospetti caddero su un soggetto che era stato sottoposto al cambiamento di sesso, ma non siamo arrivati a nulla».
Guidò una serie di indagini su altre strutture sanitarie accreditate con il sistema sanitario nazionale.
«Ad un certo punto avevamo undici case di cura sotto inchiesta. Abbiamo arrestato e fatto condannare diverse persone per truffa ai danni dello Stato per milioni e milioni di euro incassati con i rimborsi gonfiati».
Assieme alla collega Grazia Pradella si occupò della Santa Rita di Milano, fu definita la clinica degli orrori per gli interventi inutili fatti soltanto per incassare i rimborsi del servizio sanitario.
«In aula ci furono le testimonianze struggenti di pazienti che avevano affidato la loro vita a un medico e si erano visti traditi».
Oggi il pool che guida sviluppa indagini a catena sull’urbanistica milanese. C’è chi dice che vi state muovendo su base ideologica.
«Guardi, sono stata considerata indifferentemente un magistrato rosso, nero, una reazionaria, una eversiva. Applico e rispetto la legge e sono devota alla Costituzione in cui trovo i principi fondanti della mia vita. Da un lato c’è l’ambito rigoroso delle leggi, che riguarda la magistratura, dall’altro c’è una discussione tra urbanisti, politici, intellettuali e cittadini su come deve essere il modello di città. La verità è che abbiamo sollevato un coperchio».
Siete stati criticati quando sono stati annullati gli arresti.
«Uso un criterio salvavita: quando ci sono indagini di grandissimo interesse mediatico, io smetto di leggere i giornali su di esse. Immagino che ci siano stati detrattori ai limiti dell’insulto ed estimatori al limite del fideistico. Non vanno bene entrambe le cose».
Si sta pensando di fare una «legge Milano» per sanare la situazione e superare i vostri rilievi, che poi avrà ripercussioni sull’intero Paese. Cosa ne pensa?
«Quando sono diventata magistrato ho giurato di rispettare le leggi».
Ha diretto le indagini sul disastro ferroviario di Pioltello nel 2018. Tre donne morte. Avete chiesto la condanna dei vertici delle Ferrovie, ma alla fine ne avete ottenuta soltanto una. Una sconfitta?
«Nei processi non ci sono né vittorie né sconfitte. Ci sono le regole. Ho sentito qualche collega che ultimamente si è scusato per un’assoluzione, io mi scuserei soltanto se si dimostrasse che le indagini sono state fatte in malafede o con negligenza. L’assoluzione è una delle possibilità, se i processi dovessero finire sempre e solo con le condanne, allora sarebbero inutili. A me è capitato di chiedere assoluzioni di persone di cui avevo chiesto il rinvio a giudizio perché nel processo erano emersi elementi nuovi a loro favore. Ultimamente, però, dopo che i pubblici ministeri hanno fatto egregiamente il lavoro di ricerca accurata della verità, assistiamo spesso a sentenze che perdono la visione d’insieme di un evento parcellizzandolo come se si componesse di una serie di fatti ciascuno dei quali deve essere esaminato».
Nel suo lavoro in magistratura le sono capitati anche casi particolari come quello, triste, del furto della salma di Mike Buongiorno.
«Volevano un riscatto, ma poi la bara fu ritrovata».
A lungo si parlò della morte dello stilista Nicola Trussardi in un incidente stradale. Il fascicolo era suo.
«Perché era un personaggio famoso, morì dopo che la sua auto finì contro la cupide di un guardrail. La fabbrica dell’auto fu accusata di aver montato airbag difettosi, ma risultò che non era vero».
Purtroppo ha dovuto lavorare su tanti incidenti sul lavoro e su disastri, come quello alla azienda Lamina di Milano in cui nel 2018 morirono quattro operai e al drammatico incendio della Torre dei Moro.
«La Lamina è uno dei fatti che più mi ha turbata. Ricordo le vittime in una azienda che rispettava tutte le norme di sicurezza».
Quindi, il caso Ruby per le presunte corruzioni in atti giudiziari, peraltro ancora in corso in Cassazione. Principale imputato Silvio Berlusconi, che è stato assolto prima della morte, lei lo ha interrogato.
«Ma come vittima di una estorsione da parte di una giovane donna che frequentava».
Cosa ricorda?
«Lo sentimmo in grande segretezza un sabato pomeriggio. Essendo indagato in un procedimento connesso, parteciparono anche i suoi avvocati Niccolò Ghedini e Federico Cecconi».
Come andò?
«All’inizio era rigido, quando capì che non eravamo dei Torquemada (il “grande inquisitore”, ndr) ma persone normali e garbate, si lasciò un po’ andare. Durò 3 o 4 ore, ad un certo punto mi guardò negli occhi e mi disse “dottoressa Siciliano, ma lo sa che lei ha un viso molto televisivo?” Gli risposi: “Mi sta offrendo un lavoro?”. A quel punto intervenne scherzando il mio collega Luca Gaglio: “E io dottore?”. “No, perché lei è brutto”, rispose scherzando. Ridemmo. Una persona molto intelligente e simpatica».
Parallelamente ci fu la vicenda di Imane Fadil, una ragazza che frequentava Villa San Martino e sognava di fare la giornalista. Si costituì nel processo Ruby perché si sentiva danneggiata dato che con il Cavaliere aveva avuto solo un rapporto di conoscenza. Morì durante il processo dopo aver detto di essere stata avvelenata.
«Una giovane donna, molto provata, fragilissima che si affidò completamente a noi. Dichiarò che avrebbe detto tutto, che sapeva tante cose. Lo fece, ma noi avevamo la sensazione che non avesse detto tutto».
Ci fu il mistero dell’avvelenamento da polonio.
«Morì in ospedale in un tempo brevissimo. Le analisi riportavano la presenza di polonio. Andava verificato tutto, dato che la sostanza radioattiva era stata usata dai servizi segreti russi per eliminare gli oppositori del regime e inoltre, Putin era molto amico di Berlusconi. Alla fine, la presenza di polonio si rivelò un falso positivo. Imane morì di una gravissima malattia fulminante».
Il processo a Marco Cappato per il suicidio assistito di Fabiano Antoniani, dj Fabo, è stato un altro momento molto forte. Lei è stata pm ottenendo una fondamentale pronuncia della Corte Costituzionale che ha aperto al diritto alla morte, alla quale però non è ancora seguito un intervento del Parlamento.
«Un processo carico di emozioni, come quando testimoniò in aula la madre di dj Fabo, una signora di una dignità meravigliosa che ha dovuto accettare, con il più grande gesto d’amore, che il figlio volesse morire per smettere di soffrire. Mi auguro che prima o poi il Parlamento prenda atto che c’è una Corte Costituzionale».
È stata giudice e poi pubblico ministero. Crede che sia un valore aver svolto entrambe le funzioni?
«Sì. Poter vedere fatti e reati da due angolazioni diverse crea equilibrio e capacità di approfondimento migliori. Se parliamo di separazione delle carriere, poi dico che non serve modificare la Costituzione visto che da anni c’è la separazione delle funzioni che sostanzialmente impedisce il passaggio da una all’altra».
Cosa farà dopo la pensione?
«Mi prenderò un mesetto di vacanza in montagna a sciare».
E poi?
«Mi sembra che questo sia un momento della vita in cui assistiamo al ripetersi di attacchi ai diritti civili, alle libertà importanti dei cittadini. Vorrei mettere il mio bagaglio di esperienza a disposizione della tutela dei diritti».
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17 dicembre 2025 ( modifica il 17 dicembre 2025 | 10:24)
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