La Russia è sempre più povera. Ma questo non basta per favorire la pace. Putin sta facendo fatica a far quadrare i conti, a finanziare i costi della guerra con delle entrate energetiche in calo. Le sanzioni occidentali, per quanto piene di buchi soprattutto dal lato europeo (l’America non ha mai avuto relazioni economiche consistenti con Mosca), hanno inflitto dei danni reali. Ancora più efficaci delle nostre sanzioni sono i continui e micidiali attacchi ucraini contro le infrastrutture energetiche di Putin. 

Misurare l’impoverimento della Russia è interessante, ma non se ne devono trarre conclusioni affrettate. Paesi più piccoli e più poveri come Cuba, Corea del Nord, Iran, hanno dimostrato di poter sopravvivere molto a lungo a regimi sanzionatori e penurie, ancorché con gravi privazioni per i loro popoli e danni sulle loro prospettive future. 



















































Il mercato nero esiste in tutte le latitudini ed epoche storiche; l’appoggio della Cina alla Russia rimane sostanziale e decisivo. Quindi dal degrado dell’economia russa non si possono estrapolare previsioni su una maggiore duttilità di Putin al tavolo di negoziato per una tregua in Ucraina. Di questa duttilità, in effetti, non c’è alcuna traccia.

Intanto un quadro aggiornato sull’economia russa lo ricavo da questo rapporto della società di analisi Eurasia Group firmato da cinque esperti: Gregory Brew, Alex Brideau, Pramit Chaudhuri, Henning Gloystein, Pietro Guglielmi.

Le sanzioni e gli attacchi ucraini influenzeranno il flusso del petrolio russo. Nei prossimi mesi la Russia tenterà di mantenere le esportazioni via mare intorno a 3,5 milioni di barili al giorno, alimentando però l’eccesso di scorte galleggianti. Tuttavia, entro marzo Mosca sarà probabilmente costretta a ridurre le esportazioni, da 3,5–4 milioni di barili al giorno a 3–3,5 milioni, a causa della contrazione dei mercati di sbocco e delle continue interruzioni provocate dagli attacchi ucraini.

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Il calo delle esportazioni russe non sarà compensato da un aumento della produzione altrove. L’OPEC+ (cioè il cartello dei paesi produttori di petrolio allargato alla Russia) rinvierà ogni incremento dell’offerta almeno fino al secondo trimestre. I continui attacchi ucraini alle infrastrutture energetiche russe e al traffico delle petroliere resteranno una fonte di pressione al rialzo sui prezzi. Se gli Stati Uniti dovessero inasprire le sanzioni contro le compagnie petrolifere russe o rafforzare l’applicazione di quelle già in vigore, il mercato reagirebbe con un aumento del premio di rischio sul Brent.

Tuttavia, il mercato resterà in eccesso di offerta per tutto il primo trimestre, a causa degli elevati livelli di esportazioni sia da parte dei produttori non OPEC sia dell’OPEC+, della crescita trascurabile della domanda e di consumi stagionalmente deboli. Salvo uno choc alle esportazioni russe dovuto a un attacco ucraino ancora più efficace degli altri, il previsto calo delle esportazioni di Mosca difficilmente sposterà i prezzi dal range di 55–65 dollari al barile per il Brent.

Il petrolio russo fatica a trovare un mercato. A metà dicembre, circa 120 milioni di barili di greggio russo risultavano «in transito», contribuendo a un eccesso di offerta di petrolio in mare. Sebbene circa 100 milioni di barili siano programmati per l’esportazione tra il 12 dicembre e il 31 marzo, oltre la metà di queste spedizioni non ha ancora una destinazione assegnata.

L’India è avviata a ridurre gli acquisti di petrolio russo. In base ai dati di tracciamento navale, l’India ha iniziato a tagliare l’import di greggio russo dopo l’entrata in vigore delle sanzioni statunitensi contro Lukoil e Rosneft. Le esportazioni dalla Russia verso l’India nel mese di dicembre non seguono l’andamento dei mesi precedenti e solo poche consegne sono previste per il primo trimestre. Se questa tendenza dovesse confermarsi, le importazioni indiane di petrolio russo potrebbero diminuire fino a 1 milione di barili al giorno entro la fine del primo trimestre.

La domanda cinese di petrolio russo resterà robusta. A differenza dell’India, la Cina non ha rallentato gli acquisti di greggio russo, con oltre 30 carichi programmati per la consegna nei prossimi tre mesi. Sebbene Pechino possa aumentare ulteriormente gli acquisti di petrolio russo, gran parte di questi volumi finirebbe in stoccaggio piuttosto che essere raffinata, poiché le importazioni cinesi di greggio da altre fonti restano elevate.

Gli attacchi ucraini interromperanno il traffico nel Mar Nero. L’Ucraina ha dimostrato di poter colpire le infrastrutture russe di esportazione nel Mar Nero e, in misura minore, nel Mar Baltico. Questi attacchi causano danni che possono essere riparati, però. Gli attacchi alle petroliere possono anch’essi provocare disagi, ma comportano conseguenze indesiderate per l’Ucraina, come contraccolpi diplomatici da parte degli Stati della regione, in particolare la Turchia, che non vogliono vedere compromesse le rotte commerciali.

Ciononostante, la prosecuzione degli attacchi ucraini avrà un impatto entro la fine del primo trimestre del prossimo anno, sia riducendo il traffico delle petroliere sia imponendo interruzioni più durature nelle operazioni dei terminal di esportazione.

La Russia assorbirà la perdita. Ai prezzi attuali del greggio Urals e con l’attuale tasso di cambio rublo-dollaro, una perdita sostenuta di 500 mila barili al giorno di esportazioni via mare costerebbe all’economia russa circa 10 miliardi di dollari l’anno, meno dello 0,5 per cento del Pil, e ridurrebbe le entrate fiscali dello 0,2 per cento del Pil. La perdita si sommerebbe alle difficoltà di bilancio già in corso, ma resterebbe di un ordine di grandezza troppo ridotto per influenzare il calcolo del presidente Vladimir Putin sulla guerra in Ucraina. L’impatto potrebbe essere aggravato da un’ulteriore debolezza dei prezzi del petrolio o se la Russia fosse costretta ad aumentare gli sconti sul proprio greggio, attualmente superiori ai 20 dollari al barile, per attirare acquirenti. Eurasia Group ritiene che la pressione esercitata da sanzioni e attacchi ucraini sia insufficiente a modificare la posizione negoziale di Putin. Tenere il greggio russo fuori dal mercato richiederà una pressione continua. L’Ucraina dovrebbe proseguire gli attacchi contro petroliere e terminal di esportazione russi per mantenere depressi i flussi. Gli Stati Uniti dovrebbero mantenere la pressione delle sanzioni per scoraggiare gli acquisti. È probabile che un’applicazione lassista delle sanzioni porti a un aumento dei flussi russi, man mano che gli operatori individuano modalità di elusione, come già avvenuto con il greggio iraniano. In assenza di un’applicazione rigorosa e continuativa, è probabile che le esportazioni russe riprendano nel secondo e terzo trimestre 2026.

17 dicembre 2025, 12:09 – modifica il 17 dicembre 2025 | 14:58