Altre quattro persone della rete mafiosa turca di Baris Boyun, detenuto in carcere al 41bis, sono state individuate e arrestate nell’ambito delle indagini che sono proseguite dopo il maxi blitz che aveva messo dietro le sbarre 19 persone. 

Baris Boyun: la rete del boss della mafia turca a MilanoTerrorismo, traffici, immigrazione e stragi

Uno degli indagati si trovava già in carcere per mandato di arresto internazionale e proprio su di lui pendono le accuse più dure: banda armata con finalità di terrorismo e per associazione a delinquere aggravata anche dalla transnazionalità finalizzata alla commissione di una serie di reati tra cui detenzione e porto abusivo di armi anche clandestine, traffico internazionale di armi, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, omicidi, stragi, traffico di stupefacenti, riciclaggio, falsificazione di documenti. Questi ultimi reati vengono contestati anche agli altri tre (due arrestati).

La banda di Boyun

L’attività investigativa è la prosecuzione di altre svolte dagli investigatori della Sisco di Milano, della Squadra mobile di Como e del Servizio centrale operativo di Roma che aveva portato all’arresto di 19 cittadini turchi, alcuni dei quali stabilmente presenti e radicati in Italia, con a capo il boss della mafia turca Baris Boyun, imputato per banda armata con finalità di terrorismo per aver compiuto e organizzato numerosi attentati in Turchia e omicidi anche in altri Paesi tra cui la Germania. Reati, scrive il procuratore Marcello Viola, finalizzati a destabilizzare gli assetti dello Stato turco e creare allarme sociale in Europa.

Dalle indagini sono emersi altri quattro profili, parte dello stesso gruppo criminale nell’ambito del quale avevano svolto diversi compiti con particolare attenzione per il traffico di armi e droga, e per l’immigrazione clandestina. I quattro si spostavano continuamente tra l’Italia e gli altri Paesi europei. Sono stati individuati grazie al lavoro di pedinamento e controlllo di 50 poliziotti del Servizio centrale operativo di Roma, della sezione investigativa Sco di Milano, della Mobile di Como con il supporto dei colleghi di Viterbo e Pistoia e dei reparti prevenzione crimine ‘Lazio’ e ‘Toscana, e dell’Unità operative di primo intervento. 

Gli inizi

L’indagine che ha portato ai primi 19 arresti è nata nell’ottobre 2023 dopo l’arresto di tre presunti componenti dell’organizzazione mentre cercavano di raggiungere la Svizzera: avevano di due pistole, di cui una clandestina, munizioni e materiale di propaganda. Dagli accertamenti successivi è emerso che i tre stavano facendo da scorta a Boyun e alla compagna, i quali viaggiavano su una macchina separata. Boyun si trovava ai domiciliari con braccialetto elettronico per detenzione e porto di arma comune da sparo, ma avrebbe continuato a dirigere e coordinare dall’Italia la sua rete. 

Chi è Baris Boyun

Baris Boyun è nato a Beyoglu, in Turchia, l’8 giugno 1984. Dissidente curdo. Nel 2022 è stato arrestato a Rimini in esecuzione di un mandato di cattura internazionale emesso a seguito di una richiesta di estradizione dell’autorità giudiziaria turca. Secondo la polizia di Ankara, sarebbe a capo di un’organizzazione criminale radicata in Turchia ed è stato accusato di vari delitti. Le accuse turche contro di lui vanno dall’omicidio alle minacce, passando per lesioni, associazione a delinquere e violazione sulla legge sul possesso di armi. Boyun aveva respinto le accuse, sostenendo di essere un perseguitato politico di origini curde e di aver già chiesto la protezione internazionale all’Italia. Così è diventato protagonista di una querelle tra Italia e Turchia, che ha chiesto l’estradizione. Richiesta che rigettata dal tribunale di Bologna e poi anche dalla Corte di Cassazione.

I giudici della corte di cassazione hanno motivato il rigetto della richiesta di estradizione richiamando nelle motivazioni una sentenza corte europea dei diritti dell’uomo del 2016: “Sotto questo punto di vista risultano dirimenti le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della corte europea di Strasburgo che, sia pur con riferimento alla materia di protezione internazionale, ha condannato uno stato membro del consiglio d’Europa per avere ritardato l’esame di una domanda di asilo presentata da un cittadino turco e per essere stato dato dalla relativa autorità nazionale un parere favorevole all’accoglimento della richiesta di estradizione di quel soggetto risultato di etnia curda e fuggito dalla Turchia in presenza di un reale rischio che l’interessato, se rimpatriato nel suo paese di origine, potesse essere sottoposto a tortura o maltrattamenti inumani o degradanti”.

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