di
Giovanni Bianconi

Con il ricorso «per saltum» il processo è stato più breve

All’ultimo duello, quello che ha sancito la fine della partita, l’accusa è rimasta senza voce. Il ricorso per saltum della Procura di Palermo, che ha deciso di non fare appello contro l’assoluzione pronunciata dal tribunale un anno fa rivolgendosi direttamente alla Cassazione, non ha trovato il sostegno della Procura generale, che ha chiesto di rigettarlo. Per ragioni tecnico-giuridiche sottili e come tali controverse, discusse e discutibili; niente a che fare con il carico politico che questo processo s’è portato dietro fin dall’inizio. E proprio il tono e l’esito della discussione svoltasi ieri al quarto piano del «palazzaccio» di piazza Cavour può essere considerato un ulteriore indizio dell’ininfluenza della riforma che separa le carriere dei magistrati per fermare il presunto «uso politico della giustizia» di cui il procedimento a carico di Matteo Salvini è stato brandito come esempio; qui ci sono stati persino pubblici ministeri che hanno sostenuto tesi opposte.

Solo quattro avvocati di parte civile — in rappresentanza di Open arms, altre associazioni umanitarie e alcuni dei 147 migranti trattenuti a bordo della nave spagnola nell’agosto 2019 — hanno insistito nel chiedere la riapertura del giudizio contro il leader leghista che all’epoca era ministro dell’Interno oltre che vicepremier come oggi. E hanno perso.



















































Le ragioni le spiegheranno i giudici che hanno emesso il verdetto quando depositeranno la sentenza. Per adesso ci sono quelle convergenti esposte dai due pm della Procura generale e dalla difesa di Salvini, ribadite dall’avvocata-senatrice Giulia Bongiorno che ha ripetuto la tesi già illustrata a Palermo, un po’ giuridica e po’ politica: a tenere sequestrati i profughi non fu il ministro leghista bensì il comandante di Open Arms, che poteva andare altrove (per esempio in Spagna, lo Stato di bandiera della nave, che aveva offerto un «porto sicuro») e invece è rimasto a «bighellonare» al largo di Lampedusa per mettere in difficoltà il governo italiano e la sua strategia dei «porti chiusi».

I pm Luigi Giordano e Antonietta Picardi, invece, si sono limitati al diritto, contestando la scelta della Procura palermitana di saltare il grado d’appello rivolgendosi direttamente ai giudici di legittimità. L’hanno fatto perché dopo il verdetto del dicembre 2024 che assolse Salvini perché «il fatto non sussiste» (ritenendo che a fronte di un quadro normativo internazionale «precario» e «confuso» l’Italia non avesse alcun obbligo di concedere lo sbarco in un «porto sicuro») è arrivata un’ordinanza del marzo 2025 delle Sezioni unite civili della Cassazione che sul caso analogo della nave Diciotti, datato 2018, ha stabilito il contrario. Tuttavia, secondo i sostituti procuratori generali (che avevano anticipato le loro conclusioni in una memoria vistata dal procuratore generale aggiunto Giulio Romano ma non dal capo dell’ufficio Piero Gaeta) la traslazione dal civile al penale dei principi stabiliti in quel verdetto prevede un «percorso tortuoso» e dall’esito non scontato; e in ogni caso sono stati fissati quasi sei anni dopo i fatti contestati; quando Salvini prese le sue decisioni, insomma, non poteva sapere di commettere una chiara violazione di legge, come invece prevede il «principio di legalità».

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Tesi contrastata dagli avvocati delle parti civili, i quali hanno ricordato che le Sezioni unite non hanno fatto altro che far discendere la loro decisione dagli articoli 10 e 13 della Costituzione, sul diritto d’asilo (che anche i profughi a bordo della Open arms avrebbero potuto chiedere) e sulla «libertà personale inviolabile se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria nei soli casi previsti dalla legge» (quindi non da un ministro), ben noti anche a Salvini quando sedeva al Viminale.

L’avvocata Bongiorno invece ha tentato di stravincere chiedendo addirittura l’inammissibilità del ricorso: il presupposto del saltum — ha spiegato — era che il tribunale avesse ricostruito i fatti aderendo all’impostazione della procura, divergendo solo nell’interpretazione delle leggi, ma non era così.

Quello che è certo fin d’ora è che con l’azzardo di andare direttamente in Cassazione evitando il processo d’appello, i magistrati della Procura di Palermo hanno risparmiato a Salvini almeno un altro anno di cosiddetto «calvario giudiziario», arrivando subito alla partita finale; mossa che mal si concilia con «l’accanimento» di cui sono stati accusati dallo stesso vicepremier. 

Altro particolare: il sostituto procuratore generale Picardi, che ha concluso la requisitoria chiedendo il rigetto del ricorso dei suoi colleghi siciliani e quindi l’assoluzione definitiva di Salvini, ha aderito a Magistratura democratica per poi passare al gruppo Area, cioè le due correnti delle «toghe rosse» tanto biasimate per i loro presunti complotti politico-giudiziari contro il governo di centrodestra. E il suo collega Giordano che ha argomentato le stesse tesi, noto nei corridoi del «palazzaccio» per essere un «centrista» di Unità per la costituzione, prima di andare alla Procura generale è stato giudice a Napoli. A proposito di separazione delle carriere.


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17 dicembre 2025 ( modifica il 18 dicembre 2025 | 07:27)