Nella redazione dei 400 calci, non si può mai scrivere “transustanziazione” senza che poi qualcuno ti presenti il conto.
“Dredd, ma almeno lo sai cosa vuol dire?”, dicevano loro.
“Un gentiluomo di certe cose non parla!”, rispondevo io.
Per cui eccomi a parlarvi di The Carpenter’s Son, l’ennesimo twist horror su personaggi di pubblico dominio dopo Mickey Mouse e Winnie the Pooh. Questa volta tocca a Gesù Cristo, in un film che casca in una settimana già zeppa di appuntamenti con senso del sacro, tra Knives Out 3 e i film natalizi della Hallmark.

L’atmosfera natalizia deve avervi fatto sorgere, a un certo punto della vostra vita, la domanda: ma Gesù come li avrà ottenuti i suoi poteri?
I più sgamati tra voi avranno già esalato un beffardo “Ottenuti? Ovvio che era un mutante!”.
Ok, prossima domanda: Gesù sapeva di essere Gesú? E come ci è arrivato?
The Carpenter’s Son è un prequel horror del Nuovo Testamento, ispirato al Vangelo dell’Infanzia di Tommaso, e cerca di rispondere proprio a questa domanda, passando per la piuttosto disfunzionale relazione tra il falegname tradizionalmente noto come San Giuseppe e suo figlio Yeshua, aka Gesù Cristo.
Sigla!

Anno domini 15 dopo (durante?) Cristo: Maria (FKA Twigs), Giuseppe (Nicolas Cage) e un adolescente Gesù (Noah Jupe, da A Quiet Place 1 e 2) raggiungono un piccolo villaggio in Egitto dove stabilirsi dopo anni di nomadismo.
Giuseppe è un padre puritano e paranoico, ossessionato dal rifuggire le tentazioni del maligno e condurre una vita pia; in realtà, sta ancora venendo a patti col crescere un figlio non suo, ma che sa essere destinato alla grandezza. Maria proietta una maturità oltre i suoi anni, sostiene il marito e accoglie il figlio con una comprensione che a Giuseppe manca. Gesù, invece, è un adolescente come tutti: diviso tra la casta e pura vicina di casa Lilith e le provocazioni sempre più inquietanti di una misteriosa ragazzina dai capelli rossi (wink wink) sbucata dal nulla, inizia a confrontarsi con le tentazioni della carne, le limitazioni della religione e soprattutto l’estensione dei propri poteri. Quando le voci sui suoi poteri si fanno largo e i dubbi su chi sia il suo vero padre più pressanti, gli eventi lo mettono in rotta di collisione diretta con Giuseppe, proprio mentre le mire di Satana su di lui si fanno rapidamente più manifeste. Tra possessioni e morti misteriose, prodigi e hubris, il giovane Yeshua è costretto a fare una scelta da cui dipende la salvezza spirituale del mondo.

O muori da Erode, o vivi abbastanza a lungo da diventare l’Agnello di Dio.

Nello spettro tra L’Ultima Tentazione di Cristo e Nativity, The Carpenter’s Son si colloca un po’ a cavalcioni: anela alla grandezza del primo con l’ingenuità del secondo. Sulla carta l’idea è semplice e folgorante: due nomi di richiamo e con un certo carisma come Nicolas Cage e FKA Twigs in ruoli notiziabili; un argomento controverso ma poco approfondito come l’adolescenza di Gesù; un approccio da horror esistenziale dai toni trascendentali ben venduto fin dai trailer.
Le intenzioni ci sono, qualche promessa viene anche mantenuta, ma il film non viene su. C’è un’anima piuttosto convenzionale e conciliatoria, difficile da redimere e assumere nel Cielo della controversia cinematografica. Specie nell’ultimo atto, il film quasi si sbraccia per invocare Belzebù con tutti i mezzi che sa, alzando il volume dei sussurri in aramaico dove la regia e il budget possono meno. D’altronde, siamo davanti a una scostante origin story di Cristo dalle deviazioni coming-of-age – immaginatevi Batman Begins meets Ms Marvel con un’estetica da horror A24 MA sul Figlio di Dio.

La passione di Cristo

Non è solo una questione di superumani con superproblemi: il film gioca con l’iconografia cristiana più essenziale quanto basta per stimolare gli stessi neuroni che un tempo venivano titillati dai name-drop nei “cinecomic” (tre Padre Nostri e due Ave Marie). Il catechismo c’è tutto: gli elementi della natività, le crocifissioni, la origin story del velo della Madonna, i serpenti che sbucano dalla bocca, i lebbrosi e persino una molto convincente trasposizione cinematografica del Cristo Velato. Un lavoro di ricerca che farebbe invidia alla ricerca avanzata di ChatGPT.
Tralasciando i paralleli molto più interessanti tra mitologie sacre e profane, l’impasto di rimandi, anticipazioni e cenni a destini noti e condivisi non è solo velleitario: annacqua il flusso di informazioni, e cortocircuita uno dei twist principali del film. Un twist che si vorrebbe sconvolgere più i personaggi che lo spettatore, certo, ma del tutto superfluo dopo 2000 anni di, boh, cultura occidentale? persino in nome della suspense.

“Ma certo che non sono Satana, sciocchino”

La cosa più figa del film non la vedrete sullo schermo. Durante le riprese, Nic Cage è stato attaccato da uno sciame di api – presente il meme di The Wicker Man? Il buon Dio sembra avere un senso dell’umorismo molto più affilato di tutti i (pochi) contestatori del film.
Indubbiamente, il 70% del motivo per cui ogni persona di buon senso possa scegliere di vedere questo film è proprio Nicolas Cage, con la sugosa promessa che la sua interpretazione o anche solo il ruolo che interpreta possano scatenare anche solo un cucchiaino di scalpore. Il suo estro c’è, in effetti, e impregna soprattutto le molteplici scene di preghiera selvaggia – una nuova categoria che inauguriamo oggi – che punteggiano il film.
Eppure il suo San Giuseppe, nonostante la folgorante lettura fondamentalista, rivela che Nic non avesse molto da massaggiare in una scrittura poco curiosa e coesa, fino a rassegnarsi a spuntare la casella “interpretato San Giuseppe in un indie horror”. E, per la legge del contrappasso, il suo ultimo fotogramma è degno dei migliori maccosa – ve lo lascio scoprire da voi.

Ma forse il personaggio più penalizzato è Maria. La purezza aliena e sensuale di FKA Twigs la renderebbe una scelta di casting clamorosa nel ruolo della Madonna, per dindirindina – oh, se solo le fosse concesso qualche spazio. In un film che saggiamente “spiegona” pochissimo facendo leva sul nostro – attenzione parolone – retaggio culturale, il suo ruolo di voce di Dio e della ragione viene scartato a destra, il legame che si rivela poi salvifico tra madre e figlio non viene costruito o esplorato.
È il sintomo di un film eseguito tutto a compartimenti stagni: il regista Lotfy Nathan, fattosi notare con lavori molto più politici, sembra girovagare alla ricerca della visione che possa servire al meglio i profondi interrogativi spirituali che la ispirano lo script.

Giù madonne

Sarebbe ridicolo ridurre tutto a una frase come il Bene spiegato Male e fare persino del facile auto citazionismo al nostro libro in tutte le librerie ORA, ma ed è esattamente quello che faremo.
The Carpenter’s Son ce la mette tutta a convincerci di essere un horror, mettendo insieme portata biblica e inquietudini esistenziali; ma ce la mette anche tutta a convincerci di essere un film su mortalità e spiritualità, arbitrio e destino; ma ce la mette anche tutta per risultare provocatorio. Anche quando qualcosa di interessante Lotfy Nathan riesce a dirlo, questo Cristo Begins rimane solo un pezzo di completismo per fissati della continuity di Gesù.
In una parola di Dio:

Nessuno ha mai pregato più forte.

Streaming quote:

“Anchemeno”
Dredd Astaire, i400cslci.com

>> IMDb | Trailer