di
Massimo Gaggi

Nel suo discorso Trump è apparso frettoloso, sulla difensiva, poco carismatico: ha tentato di rassicurare gli americani sull’«affordability» (citando anche dati privi di senso)

Alle nove di ieri sera nelle case degli americani è entrato, col suo messaggio televisivo di fine anno, un Donald Trump molto diverso: lettura a passo di carica dei rassicuranti messaggi sull’economica scritti dai suoi consiglieri, nessuna digressione, tanti dati. Alcuni veri, altri gonfiati o addirittura falsi. E, poi, grafici e tabelle. 

Consapevole di vivere un momento difficile di perdita di popolarità nel Paese e crescente malumore nel suo partito e in Congresso dove si moltiplicano le ribellioni di gruppetti di parlamentari coi seggi a rischio, il presidente per una volta ha rispettato alla lettera il copione: accusato di essersi distratto occupandosi troppo di affari esteri, ha fatto su questo solo un rapido accenno (la solita, iperbolica, rivendicazione di aver posto fine a 8 conflitti in 10 mesi). Poi ha dedicato il grosso del suo messaggio all’aumento del costo della vita che rischia di strangolare politicamente la sua presidenza nello stesso modo in cui è naufragata quella di Biden.
    
Affordability la parola chiave di questa stagione politica abilmente veicolata dai democratici (la traduzione è convenienza, ma, applicata alla vita dei cittadini, indica la possibilità di farcela con quello che si guadagna) è stata citata più volte da Trump. Che, con grande sollievo dei suoi assistenti, non ha ripetuto che quella parola è una «burla democratica». Lo ha detto più volte nei giorni scorsi con sortite che sono state considerate un boomerang, visto che la gente l’aumento del costo della vita continua a sentirlo sulla sua pelle.
    
Stavolta Trump ha cercato di dimostrare dati alla mano che lui sta facendo molto meglio di Biden e che i prezzi stanno calando, ma ha anche ammesso che su questo fronte c’è ancora molto da fare. E davanti ai timori di uno stallo dell’economia mentre per la prima volta la disoccupazione aumenta in modo significativo, ha promesso un 2026 di forte crescita grazie agli interventi impostati quest’anno. Politiche che, secondo lui, innescheranno ben 18 mila miliardi di nuovi investimenti negli Stati Uniti: una cifra priva di senso che raddoppia quella, già ultraottimistica (9600 miliardi) fin qui propagandata dalla Casa Bianca. Una stima che comprende anche vecchi progetti ancora sulla carta e promesse verbali che gli esperti considerano non realistiche. Come quelle del Qatar e degli Emirati: tutti e due questi Stati hanno promesso di investire negli Usa mille miliardi, una cifra superiore al loro intero reddito nazionale.
    
Ma il cuore del messaggio di un Trump, per una volta apparso sulla difensiva, frettoloso, poco carismatico, ha riguardato i prezzi: il carrello della spesa, la benzina, le medicine, la casa. Un anno e mezzo fa, Biden è stato inchiodato proprio da Trump su questo. Il leader democratico, orgoglioso dei suoi piani d’investimento pubblici, dei sostegni alle industrie, della manovra anti Covid, vantava i successi della sua bidenomics mentre nei sondaggi la sua popolarità continuava a precipitare a causa della fiammata d’inflazione post pandemia del 2022. Il vecchio Joe non si capacitava dell’ingratitudine del popolo e anche del suo partito visto che, tra l’altro, i prezzi, dopo un’impennata fino al 9,2% erano scesi sotto il 3. Ma l’effetto di quella gobba, non compensata dai salari, ha continuato a pesare sul portafoglio degli americani.
    
Oggi Trump si trova nelle stesse condizioni di quel Biden. Con l’aggravante della disoccupazione in aumento. Ieri ha tentato prima di scaricare le responsabilità delle difficoltà attuali sul suo predecessore (“mi ha lasciato la peggiore inflazione degli ultimi 48 anni, secondo alcuni la peggiore di sempre”). Cosa non vera: quando si è insediato, a gennaio alla Casa Bianca, Trump ha trovato un indice dei prezzi al 3%, lo stesso di oggi. E negli anni Settanta e Ottanta l’inflazione è stata spesso peggiore di quella dell’impennata del 2022.
   
Sui singoli prodotti Trump ha citato dati variamente contestati dai centri di analisi economica che hanno fatto il fact checking come riferito sul Corriere da Viviana Mazza.



















































Il prezzo delle uova è calato, è vero, ma non nella misura indicata da Trump e la cosa non è dipesa da interventi economici ma dal superamento dell’epidemia aviaria che aveva imposto la soppressione di milioni di galline. Il prezzo della benzina scende anche perché la domanda mondiale ristagna. Ma non diminuisce nella misura indicata da Trump (la media è 2,90 dollari al gallone mentre quella indicata dal presidente, 2,50, vale solo per 4 dei 50 Stati). E, poi, la disputa sul tacchino per la festa del Ringraziamento. Il suo, dice, è stato meno caro di quello di Biden, lo scorso anno. Qui circolano tanto dati di rialzi quanto di ribassi. Probabilmente dipende dal fatto che il tacchino del Thanksgiving e il classico prodotto che i supermercati offrono, almeno per alcuni giorni, sottocosto, al fine di attirare clienti ai quali vendere molto altro.
    
Ma sul bilancio delle famiglie pesa molto altro che Trump non ha citato: affitti alle stelle e mutui più cari a causa di un aumento dei tassi d’interesse che una Federal Reserve, preoccupata dall’inflazione, non ha ancora ridotto abbastanza, con grande scorno di Trump. Che ha anche negato un impatto negativo dei suoi dazi sui prezzi.
     
Altri dati aleggiavano ieri nella sala adorna di alberi di Natale dalla quale il presidente ha pronunciato il suo discorso: i sondaggi che continuano a dare la sua popolarità in forte ribasso anche tra i conservatori. La media delle rilevazioni degli ultimi mesi indica che il 39% degli americani approvano la sua azione (ma per l’economia si scende al 36), mentre il 57% la disapprova. Con la punta negativa del sondaggio Associated Press-NORC che gli attribuisce un indice di popolarità calato addirittura la 31%.
     
I veri timori della Casa Bianca si possono leggere in controluce in un’analisi del consiglio editoriale del Wall Street Journal: un indice di popolarità considerato molto credibile, quello dei conservatori di Real Clear Politics, che vedeva Trump a quota più 6% a gennaio, ora lo dà a meno 10, mentre nelle votazioni locali svoltesi in vari parti d’America un mese fa, i repubblicani hanno perso, in media, il 15% dei consensi. Cosa che sta gettando nel panico e alimentando le ribellioni dei molti parlamentari eletti in collegi nei quali hanno prevalso per pochi punti percentuali.

18 dicembre 2025