Moreno Moser ha completamente cambiato vita dopo la sua carriera da professionista. Il pensiero a quello che sarebbe potuto essere, però, ogni tanto torna. Il nipote d’arte si è laureato allo IED di Milano, dove ha frequentato un corso triennale in Design della Comunicazione: oggi lavora per aziende nella creazione di contenuti e, ogni tanto, collabora con Eurosport come opinionista durante le telecronache. Perché il fuoco del ciclismo non si è ancora spento, anzi, continua a bruciare. E ogni tanto il pensiero di quello che sarebbe potuto essere e non è stato torna a farsi sentire, con qualche piccolo rimpianto.
La carriera di Moreno Moser è decollata nel 2012, suo primo anno da professionista: con la maglia della Liquigas-Cannondale ha trionfato al Trofeo Laigueglia e dominato il Giro di Polonia, vincendo due tappe e la classifica generale. L’anno dopo il sigillo alle Strade Bianche davanti a Peter Sagan, con Fabian Cancellara quarto. Sembrava il preludio a una carriera ricca di successi ma da quel momento il classe ’90 non ha quasi più vinto, eccezion fatta per una tappa al Giro d’Austria 2015 e il Laigueglia nel 2018. Nel 2019 la sua ultima, breve esperienza tra i pro’, con la maglia della Nippo Vini Fantini Faizanè, conclusa anzitempo a maggio.
In un’intervista concessa alla Gazzetta dello Sport, l’ex corridore ha rivissuto alcuni momenti della sua carriera, senza però trovare nel suo cognome alcuna motivazione per la prematura fine della sua carriera: “Ho creduto di poter diventare un campione. Da neopro’, nel 2012, ho vinto corse importanti battendo gente fortissima. E all’inizio dell’anno successivo, le Strade Bianche… Mi veniva tutto facile, sognavo di poter vincere qualsiasi cosa. Mi sentivo inarrestabile, quasi onnipotente. Se avessi avuto un altro cognome? Non sarebbe cambiato niente. Me lo chiedono sempre tutti, ma io non l’ho mai percepito. Le aspettative, che in qualche modo mi hanno anche schiacciato, sono state alimentate soprattutto dai miei risultati. Insomma, anche se mi fossi chiamato Mario Rossi…”.
Moreno Moser ha poi proseguito elencando alcuni motivi per cui non è riuscito a cogliere il massimo nella sua carriera: “In tanti mi hanno accusato: non ha voglia di allenarsi, lavora poco. O peggio: se andava così forte e poi non più, era per il doping. Amen: mi interessa pochissimo. Lascio parlare, chi vuole pensarlo continui pure, difficile fargli cambiare idea. Ho la coscienza più che pulita. Cos’è successo? Che ho sbagliato tutto. Vedendo oggi come si allenano i corridori, come si alimentano, con un approccio molto più scientifico… Cambierei ogni cosa. Nell’ambiente c’erano convinzioni dure a morire: meno mangi meglio è, più arrivi a casa ‘finito’ al termine dell’allenamento, quasi in crisi in fame, meglio è… Tutto questo mi ha danneggiato. Mi ha spento. Mi sono ammalato tantissime volte, negli ultimi anni da atleta. Mononucleosi, citomegalovirus, toxoplasmosi. Ero vuoto, e sono abbastanza certo che dipendesse da quanto dicevo prima“.
