di
Stefano Agnoli

Di cartolarizzazione degli oneri di sistema si occupò addirittura il governo Berlusconi bis nel 2003-04. Oggi il ministro Gilberto Pichetto Fratin vorrebbe avviarla come misura principale in un pacchetto complessivo destinato a contenere i costi dell’energia

L’obiettivo dichiarato è sempre quello: abbattere il costo dell’energia per cittadini e imprese, contenere il carovita, rilanciare la competitività di queste ultime e la crescita del Paese. Ma anche gli strumenti rischiano di essere sempre gli stessi e con essi i dubbi che li accompagnano. Stiamo parlando della cosiddetta “cartolarizzazione” degli oneri di sistema della bolletta elettrica. In sintesi: della trasformazione degli incentivi da riconoscere ai produttori di energia rinnovabile in obbligazioni di più lungo periodo (la cartolarizzazione) in modo da diluirne il peso per qualche anno. Il tutto, ovviamente, a fronte del pagamento di un interesse. Se ne parla da tempo e il governo, in particolare il ministro Gilberto Pichetto Fratin, vorrebbe avviarla come misura principale in un pacchetto più complessivo, sempre destinato a contenere i costi dell’energia. Favorevoli gli industriali, un po’ più scettici tutti gli altri. Ma il tempo stringe: per approvarlo entro il 2025 rimangono i consigli dei ministri del 22 e del 29 dicembre.

Bollette, la “cartolarizzazione” degli oneri di sistema: i vantaggi e gli svantaggi

Un’ipotesi prima scartata e poi riemersa è che i provvedimenti si possano spacchettare, approvando prima quelli più “facili” (come il contributo di 55 euro per le famiglie vulnerabili e per le pmi, che vale comunque un miliardo di euro) e poi quello sulla cartolarizzazione, tecnicamente più complicato. Ma si vedrà presto.



















































Di certo c’è che se l’esigenza è ridurre la bolletta elettrica, le strade che si prospettano non paiono essere molto diverse da quelle già studiate e accantonate nel passato. Di cartolarizzazione degli oneri di sistema si occupò addirittura il governo Berlusconi bis nel 2003-04. Poi nel 2013-14 fu il turno del governo Letta, con l’allora ministro dello Sviluppo, l’ex sindaco di Padova Flavio Zanonato, che si propose di “spalmare” gli incentivi alle rinnovabili su un periodo più lungo e di cartolarizzarne una parte grazie a un bond che il Gse avrebbe gestito fino al 2041. Si parlò di un’operazione da 3,5 miliardi, più o meno lo stesso ammontare di cui si sarebbe discusso sempre senza esito alcuno durante il precedente governo di Mario Draghi.

L’importo ipotizzato nei tentativi del passato era tutto sommato limitato rispetto ai 25 miliardi di cui si potrebbe trattare ora secondo le prime bozze del decreto. Oggi come allora, tuttavia, si è immaginata una misura articolata, ovvero una cartolarizzazione accompagnata da una proposta di liquidazione volontaria degli incentivi ancora da riconoscere ai produttori,
a sconto e dal 2028. Subito dopo Zanonato, la liquidazione a sconto la portò avanti anche la ministra Federica Guidi (governo Renzi) per gli incentivi cosiddetti “Cip6”, senza tuttavia accompagnarla con propositi di cartolarizzazione.

Il nodo del debito

Ma l’argomento che in passato ha ricondotto tutti quanti a più miti consigli e a sostanziali retromarce è quello che si sta riproponendo negli stessi termini anche oggi. Ovvero l’obbligo di dover classificare come nuovo debito pubblico ogni strumento finanziario architettato, peraltro sempre sostenuto in ultima istanza dalle tariffe pagate dai consumatori. Un punto di vista che la Ragioneria dello Stato (e verosimilmente anche Bruxelles) ha di volta in volta imposto.

Le ipotesi di intervento

E quindi, che cosa potrebbe accadere ora? La Cdp, secondo le ipotesi circolate, trasferirebbe alla Csea (la Cassa per i servizi energetici e ambientali) fino a 5 miliardi l’anno per 3-5 anni al fine di ridurre gli oneri di sistema dalle bollette. Emetterebbe poi obbligazioni per gli stessi importi, con scadenza fino a vent’anni e a tassi non superiori ai Btp di periodo analogo. In contemporanea, ai produttori di energia rinnovabile che godono degli incentivi si offrirebbe, dal 2028, la possibilità di essere liquidati a sconto, fino al 70% e tramite un’asta, a condizione però di reinvestire negli impianti “vecchi”, rigenerandoli senza ricorrere a prodotti di origine cinese.
Per i produttori sarebbe tutto sommato un modo di rilanciarsi e di ricrearsi un futuro, più legato al mercato che non alla generosità della mano pubblica. Ma anche qui i dubbi non mancano. 

Non si può dimenticare infatti quanto è costata alle tasche dei consumatori la corsa alle energie rinnovabili (soprattutto fotovoltaico) dai tempi dei primi Conti energia: dal 2008 al 2025 si sono superati i 170 miliardi di euro di incentivi, con punte di 13-14 miliardi l’anno nel periodo 2014-2016. Secondo le proiezioni dell’Arera, contenute in uno dei suoi rapporti annuali sulle rinnovabili, sarebbe inoltre ragionevole prospettare un esborso intorno ad altri 8,5-9 miliardi di euro all’anno dal 2025 fino al 2031, pari a un’altra sessantina di miliardi. Con la possibilità di disporre di 5 miliardi l’anno per 5 anni questo onere potrebbe invece essere ridotto per più della metà. Ciò significa che per un utente domestico, sulla cui bolletta gli oneri pesavano nell’ultimo aggiornamento di settembre scorso circa l’11% (ma la tendenza è al rialzo), la riduzione complessiva potrebbe valere tra il 6 e l’8%.

Il peso sulle nuove generazioni

 Il gioco vale la candela? Non va dimenticato che anche gli interessi delle obbligazioni ventennali che saranno emesse ricadranno alla fine su debito e consumatori. Anche qui si è ancora nel campo delle ipotesi, ma a condizioni di mercato il costo per interessi di un prestito di 5 miliardi restituito in vent’anni con rate di 250 milioni e un tasso del 3% si aggira oggi su 1,5 miliardi di euro. Un onere da replicare per ogni emissione da 5 miliardi. Non solo un aggravio di debito pubblico ma anche l’ennesima discutibile eredità consegnata alla prossima generazione. E quanto agli oneri del sistema elettrico, da anni sul tavolo c’è un altro tema di equità assai concreto. Da tempo immemore, infatti, si discute di fiscalizzarli, cioè di portarli nella fiscalità generale perché ogni consumatore se ne faccia carico in modo progressivo, sulla base del suo reddito, e non regressivo (chi ha redditi più bassi paga quanto chi ne ha più alti) come avviene ora.

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19 dicembre 2025