Negli ultimi mesi l’andamento dell’influenza stagionale è stato segnato dalla diffusione della cosiddetta variante K, una nuova sottoclade del virus A/H3N2 (lignaggio J.2.4.1) a cui l’Organizzazione mondiale della sanità ha dedicato di recente un focus. Come spesso capita, non si tratta di un patogeno nuovo in senso stretto ma di una evoluzione genetica di un ceppo già noto, caratterizzata da mutazioni che – anche in questo caso, senza troppe sorprese – favoriscono la trasmissione e riducono in parte il riconoscimento da parte del sistema immunitario. Questo spiega perché una quota più ampia di popolazione risulti oggi vulnerabile all’infezione, anche dopo precedenti contagi o vaccinazioni. Vaccinazioni che sono comunque preparate in base ai ceppi in circolazione l’anno precedente.

I sintomi: simili all’influenza ma più marcati

Dal punto di vista clinico la variante K non cambia il volto dell’influenza, ma tende a renderne i sintomi più evidenti. Specie rispetto ad altri ceppi come l’A/H1N1. L’esordio è spesso improvviso, con febbre alta, forte stanchezza, dolori muscolari e articolari e mal di testa. Non mancano i disturbi respiratori, come mal di gola, tosse e congestione nasale. Nei bambini, più che negli adulti, sono frequenti anche nausea, vomito e diarrea, elementi che possono rendere il quadro più difficile da interpretare perché magari portano a confondere l’influenza con qualche gastroenterite da Norovirus, Rotavirus, Astrovirus e Adenovirus.

Perché colpisce soprattutto i bambini

I dati di sorveglianza mostrano che la variante K interessa in modo particolare i bambini, soprattutto sotto i cinque anni. A renderli più esposti contribuisce una minore immunità pregressa verso i ceppi H3N2, poco circolati negli anni recenti, unita naturalmente alla frequenza dei contatti ravvicinati in scuole e asili o comunque in contesti comunitari. I più piccoli diventano così non solo i più colpiti ma anche uno dei principali motori della diffusione del virus all’interno delle famiglie.

Gravità della malattia: che cosa sappiamo finora

Nonostante l’aumento dei contagi, la variante K non risulta associata a una maggiore gravità complessiva dell’influenza. Le complicanze serie e i ricoveri non mostrano incrementi significativi rispetto alle stagioni precedenti. Resta però l’impatto sul sistema sanitario e sull’organizzazione quotidiana delle famiglie, legato all’alto numero di casi e alla durata dei sintomi, in particolare della stanchezza post-influenzale.

Già la stagione influenzale dello scorso anno era stata la più dura degli ultimi dieci anni: «In genere non abbiamo due stagioni influenzali gravi consecutive” – ha spiegato Scott Roberts, docente di malattie infettive della Yale School of Medicine al New York Times – ma molti di noi temono che, con questa nuova variante K, leggermente più mutata del solito, potremmo trovarci di fronte a uno scenario simile».

Vaccino e prevenzione restano centrali

La vaccinazione antinfluenzale continua a essere raccomandata. Anche se il vaccino stagionale può offrire una protezione ridotta contro l’infezione da variante K – e siamo ormai fuori dal periodo utile per sviluppare una difesa adeguata in tempi strategici – mantiene un ruolo importante nel limitare le forme più gravi e le complicanze, soprattutto nei bambini, negli anziani e nei soggetti fragili. «Anche se esistono alcune differenze genetiche tra i virus influenzali circolanti e i ceppi inclusi nei vaccini, il vaccino antinfluenzale stagionale può comunque fornire protezione contro i virus derivati ​​e gli altri ceppi virali inclusi nel vaccino – spiegano i medici dell’Oms – si prevede che la vaccinazione protegga ancora dalle malattie gravi e rimanga una delle misure di salute pubblica più efficaci».

Insieme al vaccino, restano fondamentali le misure di prevenzione di base, come l’igiene delle mani e l’attenzione ai sintomi nei primi giorni di malattia di cui abbiamo parlato in questo approfondimento.