Che nel mondo del ciclismo risuonino allarmi sulla situazione economica generale è fatto abbastanza ciclico. Da più parti, il modello economico su cui si fonda lo sport del pedale, almeno per quel che riguarda la strada, viene ritenuto quantomeno migliorabile e fra le voci più assidue in questo senso c’è quella di Jonathan Vaughters, che è stato prima corridore professionista e che, poi, dal 2007, è dirigente di squadre di alto livello. Attualmente, la sua formazione è la EF Education-EasyPost, che ha licenza statunitense e che ha occupato, nel triennio appena conclusa, una posizione di “centro-classifica” nel panorama mondiale delle squadre WorldTour.
Come già avvenuto in passato, Vaughters dipinge una situazione complicata per le squadre ciclistiche, in particolare quelle della “classe media”: “Dobbiamo lavorare con queste licenze triennali concesse dall’UCI, che poi in realtà vengono riviste ogni anno – le parole del dirigente statunitense raccolte da Domestique – Questo espone le squadre a rischi costanti, perché tutta l’attività si base su un’unica entrata, quella delle sponsorizzazioni. Di contro, però, ci sono costi che continuano ad aumentare, soprattutto per via degli stipendi dei corridori e anche di quelli del personale di supporto”.
Vaughters punta il dito contro alcune “rivali”: “Guardiamo alla UAE Emirates XRG. Spendono quel che serve per arrivare a vincere tutto. Ovviamente, questo non può che riversarsi sul resto del mercato, gonfiando tutto. Ma in questo momento c’è anche la Red Bull-Bora-hansgrohe che ha la stessa filosofia. ‘Spendiamo quel che spende la UAE finché non arriviamo al suo livello…’. L’effetto domino è prevedibile e soprattutto punitivo per tutte le altre, perché aumenta quello che devi chiedere a uno sponsor per avere una squadra vincente“.
Il dirigente della Ef Education-EasyPost aggiunge: “In questo momento il ciclismo è paragonabile, in termini di costi, alla F1, al calcio europeo o a molti sport di squadra americani – annota lo statunitense – Ma quegli sport si basano sul fatto che l’entrata principale non è quella degli sponsor, bensì quella dei diritti mediatici. E poi ci sono anche la vendita di vestiti e oggetti, oltre ai biglietti, che sono la ciliegina sulla torta. Noi invece cerchiamo di far galleggiare la nostra nave solo con gli sponsor, perché quelle altre fonti di ricavo nel ciclismo non esistono. Le squadre non ricevono nulla dai diritti media. Nel ciclismo, questi sono tutti di proprietà di ASO, o almeno, lo sono quelli che valgono. Questa è una battaglia che va avanti da trent’anni e il cui fronte non si è spostato di un millimetro da allora“.
Idee alternative? “Chiamiamole come vogliamo, ma siamo sempre lì, fra tetto agli stipendi e limite ai bilanci – le parole di Vaughters – Perché in questo momento il vero problema è quello che devi chiedere a uno sponsor e quello che uno sponsor può realisticamente ottenere. Se adesso vai da un’azienda, loro ti chiedono: ‘Possiamo vincere il Tour de France?’. Tu gli devi rispondere ‘No, mi dispiace. Per farlo dovreste raddoppiare quello che vorreste spendere“.
Vaughters non esime dal tirare una stoccata all’Unione Ciclistica Internazionale: “Non c’è una lega che difenda gli interessi delle squadre – il punto di vista dello statunitense – L’ente regolatore del ciclismo (l’UCI – ndr) esiste per proteggere le squadre? Tutela gli interessi commerciali delle squadre? No, non lo fa. Anzi, al contrario, l’UCI si oppone agli interessi commerciali delle squadre“.
