Non è solo il cognome a riportarlo alla ribalta, né l’essere fratello di Marco Materazzi, quel gigante burbero e iconico che nel 2006 sollevava la Coppa del Mondo insieme alla Nazionale. Matteo Materazzi è molto di più. Un uomo di sport, un padre affettuoso, un ex calciatore, un agente stimato.  A 49 anni sta affrontando una rara e aggressiva forma di SLA. Accanto a lui, in una commovente alleanza d’amore e resistenza, c’è la moglie Maura Soldati, che ha scelto di condividere pubblicamente il dolore, la speranza e la ricerca di una cura.

Chi è Matteo Materazzi, una vita nel calcio

Matteo Materazzi nasce a Reggio Calabria il 27 aprile 1976, figlio di Giuseppe, allenatore che ha lasciato il segno in diverse squadre italiane. Cresce tra palloni e spogliatoi, come il fratello Marco, ma sceglie presto un percorso più defilato: una carriera da calciatore modesto prima, e da procuratore sportivo poi. È in questo ruolo che trova la sua cifra più autentica, seguendo con dedizione molti professionisti del pallone, incluso lo stesso Marco.

Nel mondo calcistico è una presenza costante, ma discreta. Appare anche in televisione: lo ricordiamo tra i volti di Quelli che il calcio, dove si distingueva per ironia e capacità comunicativa, e persino all’Isola dei Famosi nel 2011, in una parentesi che mostrò il suo lato più umano e autentico, molto amato dal pubblico.

Ma oggi il suo nome è tornato sotto i riflettori per una ragione molto diversa. Da settembre 2024, Matteo sta affrontando una SLA con una mutazione genetica rarissima e fulminea, che in pochi mesi ha compromesso la sua mobilità e mette in pericolo anche la funzione respiratoria.

La diagnosi, la paura e quella caduta durante la partita

Tutto inizia in modo sfumato e insidioso. Prima una profonda depressione che lo porta a isolarsi, poi una strana rigidità nel camminare. “Sembrava essersi fatto male saltando una staccionata” racconta Maura, “ma cadeva spesso, si stancava molto. E non voleva fare esami, non gli è mai piaciuto”.

Poi, il momento della verità. Durante una partita di Gianfilippo, uno dei due figli, nelle giovanili della Lazio, Matteo cade rovinosamente. Sugli spalti c’è anche Claudio Marchisio, ex centrocampista della Juventus, che non si limita a un gesto di cortesia. Lo guarda e gli chiede: “Ti sei fatto vedere da qualcuno?”. È il dubbio che cambia tutto. La Fondazione Vialli e Mauro mette la famiglia in contatto con il professor Sabatelli del Centro Nemo di Roma. “Per fare diagnosi, non ha avuto nemmeno bisogno di esami” racconta ancora Maura.

Da lì, il tempo si è messo a correre al contrario. In tre mesi Matteo perde l’uso delle gambe. Oggi si muove solo con le mani, e poco. La SLA non dà tregua, non fa sconti. Lui vorrebbe vedere crescere i figli, ma – parole sue – “non ci crede”. È lucido, realista. La statistica è spietata: il 50% dei malati di SLA muore entro tre anni dalla diagnosi.

Maura e Matteo: un amore che non arretra

A rendere ancora più intensa questa vicenda è l’incredibile forza dell’amore tra Matteo e Maura. Si conoscono a Porto Taverna, Sardegna, nell’estate del 1997. Erano “poco più che ventenni”, racconta lei. Non si sono mai più lasciati. Due figli, Geremia (oggi 19 anni) e Gianfilippo (16), e una quotidianità trasformata in un campo di battaglia silenzioso ma coraggioso.

Maura non è solo moglie e madre: è diventata la portavoce pubblica di questa battaglia. Ha lanciato una raccolta fondi su GoFundMe con parole che scavano dentro: “L’obiettivo è salvare la vita di mio marito e di chi in futuro affronterà la stessa malattia. Penso anche ai nostri figli, che hanno fra il 15 e il 20% di possibilità di sviluppare la stessa mutazione”.

La terapia sperimentale che potrebbe aiutare Matteo è quella sviluppata dalla Columbia University di New York, guidata dal dottor Neil Shneider. Si tratta di una terapia personalizzata basata su oligonucleotidi antisenso (ASO), da costruire su misura per il tipo di mutazione genetica che ha colpito Matteo. Un lavoro complicatissimo, perché la proteina che si accumula nei suoi neuroni è tossica, ma anche fondamentale per la vita della cellula. Un paradosso biologico che rende tutto più fragile, tutto più urgente. Servono un milione e mezzo di dollari. E soprattutto, serve tempo. Un anno. Ma non è detto che ci sia.

In pochi giorni, la campagna ha superato i 200 mila euro. Tra le donazioni, anche una da 50 mila euro da parte di una personalità del mondo del calcio rimasta anonima. “Una persona speciale”, commenta Maura, “ci conosceva, ma non in modo stretto”.