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Sal De Riso: «Iniziai vendendo i dolci al bar di papà. Bezos ha voluto una torta di 55 metri e uso 400 quintali di limoni l’anno. Un cliente cardiologo mi ha salvato»
IIntrattenimento

Sal De Riso: «Iniziai vendendo i dolci al bar di papà. Bezos ha voluto una torta di 55 metri e uso 400 quintali di limoni l’anno. Un cliente cardiologo mi ha salvato»

  • 20 Dicembre 2025

di
Luca Bergamin

Il pasticciere: «Eravamo in sette, oggi i dipendenti sono 152 I compaesani mi hanno aiutato, non lascerò mai la Costiera»

Quello che si presenta alle otto in punto di un mattino d’autunno che sembra estivo, dinanzi ai leoni in marmo della fontana di Minori, sembra un manager di una multinazionale. Quest’uomo in abito blu, che porta sulle spalle uno zainetto compatto, è invece Salvatore De Riso, sessant’anni tra poco, il pasticciere più dolce e famoso della Costiera Amalfitana, amatissimo da tutti gli italiani grazie anche alle apparizioni televisive nei programmi condotti da Antonella Clerici. «Quando ero piccolo, sedevo a cavalcioni su questi leoni. Adesso li guardo dalla finestra della mia casa. Accanto c’è la pasticceria, nella strada attigua il ristorante bistrot e dietro scorgo la basilica di Santa Trofimena, altrettanto importante per la mia vita».

È nel Bar Tabacchi di suo padre dove tutto è cominciato.
«Faceva certe spremute e sorbetti di limoni indimenticabili. Lo aiutavo dopo i compiti delle elementari e al ritorno dalla scuola alberghiera. Per il 25° anniversario di matrimonio dei miei genitori, preparai il buffet dei dolci, così tutti i compaesani poterono assaggiarli e apprezzare le mie qualità. Da lì iniziarono a chiedermi torte per battesimi, compleanni e papà vendeva le fette ai suoi clienti, deliziati dal fatto che il cameriere di quel piccolo locale fosse anche il pasticciere».



















































Però dovette chiedere al fornaio di prestarle i fuochi.
«Non avevo uno spazio dove sfornare, così dovetti farmi ospitare dal panettiere, mentre mamma mi regalò il Mulinex e un marmista di Amalfi mi avrebbe poi dato una mano per la prima cucina. Sono rimasto sempre a Minori anche per questo legame indissolubile con la gente che mi ha aiutato a diventare un bravo pasticcere. Anche se ho iniziato come cuoco».

Sal De Riso ha iniziato preparando i cannelloni?
«Avevo dieci anni, mamma si prese l’influenza poche ore prima di un pranzo importante ed io, che avevo sempre assistito alle preparazioni dei piatti in veste di piccolo aiutante aggrappato alla sedia, ascoltando le indicazioni che mi forniva dalla camera da letto, cucinai gli gnocchi, la lasagna, il vitello al ragù. Già da bambino sapevo preparare anche i cannelloni. È merito della nostra cucina di casa se ho scelto questa strada».

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Poi ha avuto l’intuizione geniale della Delizia al limone, ora tutti la mangiano in Costiera.
«La prima Delizia la preparai nell’89. Però paradossalmente furono alcuni cuochi e ristoratori del Nord, che l’avevano assaggiata durante un tour in Brianza, a farla conoscere per primi tramite un passaparola potentissimo come i social di oggi».

Adesso le spedisce in tutto il mondo. Merito soltanto dell’abbattitore?
«Lo scoprii con Iginio Massari durante un viaggio nel ‘98 nelle pasticcerie di Parigi. Per me è uno strumento decisivo perché sono ossessionato dalla qualità dei prodotti: posso congelare il fico bianco, l’albicocca, la mela annurca, le nocciole di Giffoni e presentare dolci con materie prime rimaste freschissime. Ad esempio, friggo le melanzane in agosto, nel loro periodo migliore e le abbatto. Prima andavo a Brescia in automobile per acquistare il burro proveniente dal Belgio».

Lei ha lottato a lungo per alzare il prezzo di acquisto della frutta dai coltivatori campani.
«La qualità si deve pagare. Impiego 400 quintali di limoni all’anno e non posseggo alcuna pianta. Perciò devo fidarmi ciecamente dei miei fornitori. Vanno aiutati, seguiti, premiati e pagati il giusto. Io tengo molto alla salubrità degli ingredienti che impiego e a quella semplicità che permette di riconoscere quello che stai mangiando».

Passa per uno studioso maniacale di tecniche alimentari.
«Al giorno d’oggi non si può prescindere dalla conoscenza della chimica e della scienza dell’alimentazione. Perciò leggo tantissimo, non perdo mai tempo. Anche l’attualità e la storia mi interessano e sono legati alla cucina».

È uno juventino nostalgico. Le piace la definizione di Platini della pasticceria?
«Sì, è bella! Io amavo quella Juventus che dava tre quarti di giocatori alla nazionale di calcio. Zoff, Gentile, Cabrini, ricordo ancora la formazione a memoria. E poi la pasticceria francese mi è sempre piaciuta. Il calcio di adesso purtroppo ha perso tanta poesia».

Lei, invece, ha conservato l’amore per i dolci anche adesso che il business legato al suo marchio si è ingrandito e ha 152 dipendenti, ai quali vanno aggiunte le persone dell’indotto commerciale?
«Nel 2002 eravamo in sette. Nel nostro laboratorio, un ex mobilificio lassù a Tramonti in mezzo alla campagna, si conoscono, spesso si innamorano, talvolta si sposano. Siamo ancora una famiglia, i numeri non ci hanno cambiato».

E lei è sempre sposato ad Anna, che si occupa delle risorse umane.
«Lavorava al Gemelli di Roma, venne qua in vacanza con un’amica. Per conquistarla, la invitai alla pasticceria, poi chiesi a mio cugino di uscire insieme a noi e all’amica, la portammo nei luoghi più belli della Costiera, giocando tutte le carte possibili e immaginabili, poi sullo scoglio dell’Africana lei finalmente cedette e mi diede un bacio».

È stata lei ad abbreviarle il nome che ora tutti conoscono.
«Era troppo lungo per le confezioni. Quando cambiammo marchio, rinunciando ai gigli fiorentini in favore del simbolo attuale ispirato a uno dei graffiti che si ammirano nella villa romana di Minori, pensammo che fosse il caso di restringe anche Salvatore, e aggiungemmo Costa d’Amalfi. Anche mia figlia Anastasia, che ha studiato da ballerina classica alla Scala ci aiuta, mentre Antonio ha iniziato adesso l’università».

Anna non è gelosa della rivale televisiva… Clerici?
«Io Antonella la sposerei nella prossima vita! È genuina, ama il bello della vita, si è fatta da sola e sceglie di circondarsi di persone sincere come è lei. Antonella ama la torta caprese e il profiterol al cioccolato. Glieli porto a casa per i compleanni di sua figlia e le feste di famiglia».

Lei prepara torte sia per Jeff Bezos che per le signore centenarie di Minori. La sua è una pasticceria democratica.
«Sarà per questo che mi hanno chiesto tante volte di entrare in politica. Per me non c’è differenza tra un cliente e un altro. Il signor Amazon me ne ha ordinata una lunga 55 metri, però mi danno altrettanta soddisfazione le quattromila delizie preparate ogni settimana perché so che trasmettono gioia a chi le mangerà. E poi un’altra soddisfazione è essere contattato da un contadino di Agerola che mi fa assaggiare pere buonissime, diventate poi imprescindibili per la torta con la ricotta».

Però adesso lei si è messo a fare concorrenza ai maestri lombardi del Panettone.
«Ho imparato l’arte del lievito madre a Concorezzo, in Brianza, portandolo poi qui. Mi piace la contaminazione dei sapori tra Nord e Sud. Un pasticcerie è anche un po’ archeologo e un po’ architetto, deve scovare le ricette dimenticate, di cui l’Italia è ricca, riportale alla luce, farle conoscere ai giovani, magari in una veste rinnovata che è frutto delle proprie conoscenze e tradizioni. Ora la mia scommessa è la sbrisolona mantovana, che sta diventando anche un po’ amalfitana. Comunque, sulla confezione del panettone viene rimarcata l’origine milanese».

È vero che proprio le delizie le hanno salvato la vita?
«Sì, un cardiologo si presentò in pasticceria per ringraziarmi della bontà di questi dolci. Disse che era venuto apposta da molto lontano per assaggiarle. Mi guardò in viso e consigliò un check-up presso di lui. Aveva ragione perché il cuore non stava bene, e mi è stato applicato così un impianto di sei stent che ha ripristinato un flusso sanguino regolare. Poi dicono che i dolci fanno male…».

20 dicembre 2025 ( modifica il 20 dicembre 2025 | 08:45)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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