Il rosso che vedo io è uguale al rosso che vedi tu?”. È una delle domande che da bambini ci siamo fatti tutti, almeno una volta: se per secoli la risposta è stata un’alzata di spalle, oggi la neuroscienza parla in modo più preciso. E dice che no, probabilmente non vediamo la stessa cosa. Anzi, per dirla tutta, che quel rosso, fuori dalla nostra testa, nemmeno esiste. Il mondo, difatti, è fatto di radiazioni e superfici che riflettono la luce, ma il colore è una specie di allucinazione controllata, una costruzione biologica creata dai nostri circuiti neurali; ma c’è anche dell’altro, ancora più sconvolgente. Il nostro (personalissimo, a questo punto) pensiero del rosso, così come di qualsiasi altra cosa, non è una nuvola astratta, un software puro che gira sull’hardware del cervello: al contrario, le idee sono fisiche. Cose come la giustizia, la matematica, l’amore sono tutti concetti incarnati, possibili grazie allo stesso materiale biochimico che ci permette di muovere il braccio e sentire il calore del sole. Queste le vertigini al centro di La mente neurale. Come pensa il nostro cervello, saggio appena arrivato nelle librerie italiane per Roi Edizioni, scritto a quattro mani da George Lakoff, tra i più eminenti linguisti cognitivi al mondo, che ha cambiato il nostro modo di vedere le metafore, e Srini Narayanan, Senior Research Director di Google DeepMind a Zurigo e docente (tra le altre cose) allo Institute for Brain and Cognitive Sciences alla University of California, Berkeley.

George Lakoff e Srini Narayanan La mente neurale  ROI Edizioni  pp. 496  2990 €

George Lakoff e Srini Narayanan, La mente neurale – ROI Edizioni – pp. 496 – 29,90 €

Il libro di Lakoff e Narayanan, in effetti, è un manifesto scientifico e tecnologico, nel solco della cosiddetta “terza rivoluzione cognitiva”, quella che, nel momento di massima esplosione delle intelligenze artificiali e dei modelli di linguaggio, sposta l’asse dell’indagine dall’idea di una “mente computazionale”, in cui si considera il cervello come una sorta di supercomputer in grado di elaborare simboli astratti, a quella di una “mente incarnata” e neurale, per l’appunto, in cui il pensiero è una simulazione fisica radicata nella biologia. Il cuore teorico del libro, in particolare, cerca di smantellare il dualismo cartesiano che per secoli ha dominato il pensiero occidentale, e cioè quello tra res cogitans (cosa pensante, ossia realtà immateriale e spirituale, caratterizzata da pensiero, consapevolezza e libertà e corrispondente all’anima e alla mente) e res extensa (cosa estesa, ossia realtà materiale e fisica, definita dall’estensione nello spazio, inconsapevole, meccanica e determinata da leggi fisiche). Secondo gli autori, il pensiero è in realtà “incarnato” (embodied) in sistemi di circuiti, evolutivamente e biologicamente vincolati: il cervello agisce come un filtro neurale capace di accogliere le idee che la sua architettura può sostenere. Una visione del genere, come vedremo tra poco, ha conseguenze molto profonde, e in particolare smonta pezzo per pezzo l’illusione che i grandi modelli di linguaggio possano replicare la mente umana semplicemente macinando dati: senza un corpo c’è calcolo ma non c’è vera comprensione. Abbiamo intervistato Narayanan per farci raccontare il senso profondo di questo cambio di prospettiva e le sue implicazioni per la neuroscienza e per la tecnologia.

Professor Narayanan, il vostro libro si apre con una tesi provocatoria. Concetti astratti come giustizia e matematica sono entità fisiche, biologiche, quanto lo è il nostro sistema immunitario. Può spiegarci come sia possibile? Come fa un’idea non fisica a diventare un circuito fisico nel cervello?

Srini Narayanan

Costruiamo la nostra “comprensione” delle entità non fisiche a partire dall’esperienza che facciamo del mondo sociale e fisico in cui siamo sempre immersi. Già subito dopo la nascita, abbiamo interazioni che correlano entità fisiche osservabili (il calore, la vicinanza fisica, la grandezza, l’altezza) a entità “soggettive” come l’affetto (essere al caldo, essere tenuti stretti da un genitore), l’importanza (ciò che è grande è importante) e la quantità (più alto è il livello di un liquido in una tazza, più sostanza è contenuta all’interno). Queste prime mappature sono chiamate metafore primarie, e servono come base per mappe e “cornici” più complesse. Nella nostra ipotesi, i concetti nel cervello sono attivazioni coordinate di specifici circuiti neuronali e cascate. Le connessioni tra circuti neurali permettono il flusso di attivazione e mettono in relazione i concetti nella mente neurale.

Il cervello impara rafforzando le connessioni tra neuroni e basandosi sulle co-occorrenze dell’attivazione (il cosiddetto firing). Neuroni all’inizio connessi molto debolmente diventano molto più forti quando i due lati della connessioni si attivano in una piccola finestra temporale; nel libro descriviamo diversi meccanismi che spiegano come il cervello impari a “proiettare” questi pattern legati ad attributi fisici (come il calore, per l’appunto) per strutturare la nostra comprensione di attributi astratti (come l’affetto), e come queste mappature si manifestino poi nel linguaggio: espressioni come “le azioni crollano ancora”, per esempio, o “è una persona calorosa” ne sono esempi diretti. Quando impariamo un concetto complesso come la “libertà”, proiettiamo la nostra esperienza incarnata, fatta di contenimento, movimento, forze fisiche e vincoli, per strutturare la nostra comprensione.