Era il 2015 quando l’Italia festeggiava l’ultima vittoria alla Vuelta España applaudendo l’impresa di un venticinquenne Fabio Aru, superbo nell’occasione a salire sul gradino più alto del podio di Madrid davanti a Joaquim Rodriguez e Rafal Majka.

Da allora, in dieci anni, nessun’altro corridore nostrano è stato più capace, nella corsa a tappe iberica, di imitare l’exploit del corridore sardo che oggi, dopo aver deciso di ritirarsi nel 2021, è sì non più in gruppo, ma continua ad avere un ruolo molto attivo nel mondo delle due ruote vestendo i panni del testimonial per vari brand e gestendo un’Academy che porta il suo nome.

“In questo momento posso dire di essere molto preso e questa sicuramente è una buona cosa. Quello di tenersi impegnati è un consiglio che mi sento di dare a tutti gli ex-corridori perché tutti, magari i corridori da gare a tappe in maniera un po’ diversa dagli altri, sono sempre stati abituati a essere tanto sotto pressione e fa bene continuare a tenersi bene sul pezzo” ci ha spiegato energicamente Fabio a Montecarlo dove, tra un impegno di lavoro e un’uscita in bici (che non ha abbandonato), ha trovato il tempo di recarsi per conoscere e poi commentare con noi il percorso della Vuelta 2026.

“Come da tradizione, anche la prossima è una Vuelta dura. Il percorso è molto esigente, perfetto per scalatori e uomini di classifica che sicuramente saranno contenti di questo disegno. Saranno un po’ meno felici gli sprinter, ma è normale: il tracciato 2026 riflette esattamente l’immagine di ciò che è la Vuelta, una corsa difficile con tante salite e un notevole dislivello. Mi ha colpito particolarmente il fatto che la penultima tappa, che si correrà in una zona come quella di Granada e Sierra Nevada che conosco bene, superi i 5.000 metri di dislivello, un dato decisamente importante se consideriamo anche che i corridori avranno già 19 giorni di corsa nelle gambe. Trovandoci poi nella zona sud della Spagna, oltre al dislivello, quel giorno anche il caldo potrebbe essere determinante nel rendere le cose ancora più complicate”.

Ecco, il caldo potrebbe rivelarsi un fattore decisivo nell’arco delle tre settimane. Se dovessi pensare a qualche corridore in particolare che potrebbe patirlo o esaltarsi con temperature elevate?

“Vingegaard, che ha vinto l’anno scorso, è un corridore che si trova bene anche con certe temperature. Ha vinto due Tour de France, dove solitamente il caldo non manca, quindi potrebbe essere sulla carta uno dei nomi maggiormente indicati per far bene”.

Come vedi invece l’introduzione dello sterrato?

“Non mi dispiace, si affronterà in salita e aggiungerà un po’ di spettacolo. In generale, sono dell’idea che, quando si trova il modo di inserirlo nel contesto giusto, sia un’aggiunta positiva”.

Guardando i tre percorsi di Giro, Tour e Vuelta, adesso che li conosciamo tutti, se fossi stato ancora in attività, quale o quali avresti scelto?

“Avrei visto di buon occhio questa Vuelta, sicuramente per la durezza del percorso 2026, ma anche perché sono sempre stato un grande fan di questa corsa. Quando correvo, infatti, era quasi sempre un punto fisso del mio calendario anche se, chiaramente, poi ci sono stati anni in cui ho preferito concentrarmi più sul Giro o sul Tour. Ricordo che trovarsi a correrla dopo la Grande Boucle è sempre stato molto complicato perché a separarle ci sono solo quattro settimane e in termini di preparazione e di recupero non si era al livello a cui si è oggi”.

Se fossi stato in gruppo avresti potuti anche correre il Giro di Sardegna che torna in calendario quest’anno.

“Ho visto e mi fa molto piacere per la mia terra. Anch’io partecipo, anche se con attività legate ai più piccoli e al ciclismo giovanile, allo sviluppo del ciclismo in Sardegna, ma è bello che ci sia un continuum portando sull’isola anche i professionisti, quindi ben venga il ritorno del Giro del Sardegna e un grande “in bocca al lupo” agli organizzatori e a chi investe in questa manifestazione”.

A proposito dei giovani, chi ti piace di più fra quelli italiani?

“Uno sprinter come Jonathan Milan e poi sicuramente Giulio Pellizzari. È un bravo ragazzo, educato e serio, secondo me può far molto bene”.

Proprio il marchigiano della Red Bull-BORA-hansgrohe all’ultima Vuelta ha interrotto un digiuno azzurro che durava dal 15 settembre 2023, conquistando la sua prima vittoria da professionista in cima all’Alto de El Morredero, un’affermazione prestigiosa che l’ha sbloccato definitivamente e che, unito al sesto posto finale in classifica generale, ne ha confermato tanto il futuro roseo davanti quanto le qualità per imporsi prossimamente in una grande corsa a tappe.

Non è escluso quindi che a raccogliere il testimone di Aru nell’albo d’oro della gara a tappe spagnola, a livello italiano, possa essere esattamente il ventiduenne di San Severino Marche, ragazzo in cui non solo l’ex pro’ sardo ha individuato le stimmate di un possibile vincitore di Grandi Giri ma anche le doti per brillare sul piano umano.