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Nei prossimi vent’anni una massa imponente di immobili è destinata a passare di mano. Secondo le stime, almeno 1.400 miliardi di euro di patrimonio immobiliare finiranno in successione, andando ad alimentare un mercato già sotto pressione. Il contesto è noto: popolazione in calo, sempre più anziana, famiglie più piccole e una crescita dei nuclei monocomponenti. Tradotto: più case in vendita e meno potenziali acquirenti.


APPROFONDIMENTI

A complicare il quadro c’è la qualità del patrimonio immobiliare italiano, mediamente datato e spesso bisognoso di interventi di ristrutturazione costosi e poco sostenibili.

Un problema sistemico che si riflette anche a livello micro, nelle singole famiglie. Pianificare per tempo il passaggio generazionale degli immobili significa contenere costi e imposte, preservare il valore degli asset ed evitare che l’eredità si trasformi in un terreno di scontro tra eredi.​Casa ed eredità: le regole (e le tasse) da conoscere

I contenziosi non riguardano solo i grandi patrimoni. Basta una famiglia con due appartamenti e due figli perché la divisione si complichi e finisca davanti a un giudice. Il tema è stato al centro di un convegno dedicato al passaggio generazionale degli immobili, organizzato in occasione della presentazione di uno studio di Sarpi Group, basato su dati propri e su fonti ufficiali come Banca d’Italia, Istat e Agenzia delle Entrate.

Il patrimonio immobiliare delle famiglie italiane – come scrive il Corriere della Sera – è stimato in 5.547 miliardi di euro: il residenziale da solo rappresenta il 45% della ricchezza netta nazionale e l’83,7% dei beni reali. In vent’anni il peso del “mattone” è sceso di appena 1,3 punti percentuali rispetto al 2003, soprattutto perché ampie aree del Paese non si sono ancora riprese dagli shock delle crisi del 2007-2008 e del 2011-2012. Oggi il 28% degli immobili è in mano a over 65; nel 2040 la quota salirà al 42%. Guardando al 2050, le proiezioni demografiche parlano di un ragazzo sotto i 14 anni ogni tre ultrasessantacinquenni.

Perché la sola successione spesso non basta

In ambito previdenziale questi numeri sono già noti: il progressivo equilibrio tra popolazione attiva e inattiva rende più incerto il futuro pensionistico. Chi possiede immobili, tuttavia, ha qualche leva in più per difendere il valore del patrimonio e ridurre il carico fiscale sugli eredi. «Se si demanda tutto alla successione – spiega Emanuele Barbera, presidente di Sarpi Group – gli immobili non vengono divisi materialmente: ogni erede acquisisce una quota dell’intero bene. Ne consegue che ogni decisione, dalla vendita all’affitto fino all’uso personale, deve essere condivisa».

Il risultato è facilmente immaginabile: un figlio che vuole liquidare la propria parte, una sorella legata alla casa di famiglia, un coniuge che intende abitarla, un altro erede che pensa a un’attività ricettiva. Divergenze economiche ed emotive che spesso degenerano in contenziosi lunghi e costosi.

In presenza di un solo figlio o del coniuge come unici eredi legittimi, il testamento non è strettamente necessario se si intende lasciare tutto a loro. Ma quando la situazione è più articolata conviene muoversi in anticipo. Il primo passo è una valutazione del patrimonio immobiliare, consapevoli che al momento dell’apertura della successione i coeredi potrebbero non concordare sul valore attribuito ai beni. Da lì si può ricorrere, con l’assistenza di notai, avvocati e commercialisti, a strumenti come la donazione, la separazione tra nuda proprietà e usufrutto, o una combinazione dei due. Per patrimoni molto rilevanti esistono anche trust e patti di famiglia, questi ultimi particolarmente efficaci per le quote societarie e applicabili agli immobili solo se funzionali all’attività d’impresa.

Quando conviene anticipare l’eredità

Un dato colpisce più di altri: solo il 15% delle successioni in Italia avviene tramite testamento. In parte per scaramanzia, in parte per sottovalutazione delle conseguenze. Non sono rari i casi – anche celebri – di conviventi che, alla morte improvvisa del partner, restano esclusi dall’eredità, mentre il patrimonio finisce a parenti lontani.

Fare testamento è il primo passo; il secondo è distribuire i beni in modo chiaro e trasparente. Se il rapporto con i figli è buono, è spesso utile condividere in anticipo le scelte. In linea generale, è preferibile lasciare liquidità piuttosto che immobili. Una seconda casa poco utilizzata e non gradita agli eredi è spesso meglio venderla prima della successione.

Si obietta che tra genitori e figli l’imposta di successione non si paga fino a un milione di euro. Formalmente vero, ma incompleto. Sugli immobili che non costituiscono prima casa per gli eredi si applicano comunque le imposte ipotecaria e catastale, pari complessivamente al 3% della rendita catastale rivalutata e moltiplicata per 126. Inoltre, fino alla vendita, gli eredi continuano a pagare l’Imu. Al contrario, il denaro ricavato dalla vendita effettuata in vita non sconta alcuna imposta in capo ai figli.

C’è poi un tema di tempi: la vendita di immobili ereditati è mediamente più lenta. Sei mesi e mezzo per un appartamento, oltre otto per una villa, fino a dieci mesi per un rustico nelle aree interne. Se mancano documenti sulla regolarità edilizia o catastale, si può superare l’anno, arrivando anche a tre in caso di contenzioso giudiziario.

Donazioni: oggi sono più semplici e meno rischiose

La donazione è, a tutti gli effetti, un’anticipazione di eredità e negli ultimi anni è diventata più appetibile grazie a due interventi normativi. Il primo è il decreto legislativo 139 del 18 settembre 2024, che ha abolito dal 1° gennaio 2025 il cosiddetto “coacervo successorio”. Il secondo è l’articolo 44 della legge 182/2025, in vigore dal 18 dicembre.

L’abolizione del coacervo ha sancito il principio dell’autonomia fiscale tra donazione e successione. In pratica, donazioni ed eredità vengono tassate separatamente. Questo consente, ad esempio, di trasferire fino a due milioni di euro a un figlio senza pagare imposte, suddividendo il patrimonio tra donazione e successione e sfruttando in entrambi i casi la franchigia di un milione. Per fratelli e sorelle il beneficio è più limitato, ma comunque rilevante, dato che la franchigia è di 100 mila euro.

Resta fermo che i beni donati rientrano nel calcolo dell’asse ereditario. Ed è qui che interviene la seconda novità normativa, che risolve uno dei principali problemi delle donazioni immobiliari: la difficoltà di vendere l’immobile ricevuto. In passato, in caso di lesione dei diritti dei legittimari, questi potevano chiedere la restituzione del bene anche al terzo acquirente, rendendo le vendite rischiose e costringendo spesso a stipulare costose polizze assicurative. Con la nuova disciplina, gli eredi lesi possono rivalersi solo sul donatario, non su chi ha acquistato l’immobile, eliminando l’incertezza per il mercato.

Nuda proprietà e usufrutto: meno burocrazia, meno tasse

La donazione può riguardare anche la sola nuda proprietà, mantenendo l’usufrutto in capo al donante. È una soluzione molto utilizzata per trasferire gradualmente il patrimonio, con oneri fiscali ridotti e pratiche burocratiche limitate alla voltura catastale al momento dell’estinzione dell’usufrutto.

L’imposta di registro sulla nuda proprietà è calcolata in base all’età dell’usufruttuario, utilizzando coefficienti legati al tasso di interesse legale. Per fare un esempio: se l’usufruttuario ha 60 anni, per il fisco l’usufrutto vale il 60% della piena proprietà, quindi le imposte sulla nuda proprietà si applicano sul restante 40%. A 80 anni, l’usufrutto vale il 25% e la nuda proprietà il 75%. È possibile anche acquistare una prima casa riservandosi l’usufrutto e attribuendo contestualmente la nuda proprietà a un figlio con un unico atto.

Un’interpretazione restrittiva della legge di Bilancio 2024 aveva temporaneamente bloccato queste operazioni, sostenendo che il venditore dovesse tassare come reddito diverso il corrispettivo della cessione dell’usufrutto. Il problema è stato superato con il decreto legge 84/2025. Secondo i notai, la maggior parte delle operazioni sulla nuda proprietà non avviene tra estranei, ma all’interno delle famiglie per razionalizzare il patrimonio. Anche quando la vendita serve a integrare il reddito, è consigliabile coinvolgere gli eredi: in alcuni casi possono contribuire al sostegno dei genitori, evitando una vendita forzata e spesso penalizzante anche dal punto di vista emotivo ed economico.


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