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“Norimberga” ha debuttato a Toronto a settembre, è passato per il Torino Film Festival e ora eccolo qui, nelle nostre sale dal 18 dicembre, forte di un cast di primissima grandezza, tra i quali spicca naturalmente il fu Massimo Decimo Meridio. Russell Crowe torna agli antichi fast, e per fortuna, perché se non fosse per lui, questo film avrebbe molto poco da dire.
“Norimberga” – La trama
“Norimberga” è scritto dallo stesso Vanderbilt, che ha tratto spunto dal saggio scritto da Jack El-Hai, incentrato sull’esperienza del Dottor Douglas Kelley, lo psichiatra che fu chiamato dall’inedita Corte di Giustizia creata dagli Alleati per studiare e in un certo senso entrare nelle teste quei gerarchi e generali nazisti su cui si era riusciti a mettere le mani. Ad interpretarlo Rami Malek, che da tempo ormai si è capito che ha una sola espressione da spendere, indipendentemente dal ruolo che ricopre. Il che è il tallone d’Achille più grosso di “Norimberga”, questo miscasting clamoroso per il ruolo del protagonista, che in diversi momenti ci appare insopportabile. Viene in parte compensato da un Michael Shannon sobrio ed efficace nei panni del Procuratore Robert H. Jackson, Leo Woodall in quelli del Sergente Howie Triest, Richard E. Grant per il Procuratore inglese Sir David Maxwell Fyfe, mentre John Slattery è il Comandante del Carcere, Burton C. Andrus. Ma gli occhi erano tutti su di lui, su Russell Crowe, scelto per interpretare il grande protagonista di quel processo, la preda più ambita dalla Corte: Hermann Göring, per anni il numero due del regime nazista.
Uscito da diversi anni dal giro del cinema delle Major, il fu Gladiatore però è e rimane un attore di razza, capace di dominare ogni momento di un film che palesa molti problemi a livello di script e montaggio. Esteticamente il livello è televisivo (così si sarebbe detto una volta), ma soprattutto l’insieme ha un tono incerto, confuso, a dispetto del suo essere in teoria un film processuale tour court. Non si entra facilmente in empatia con il protagonista, il Dottor Kelley, che seguiamo mentre conosce uno ad uno i gerarchi nazisti, ma soprattutto entra in confidenza con Göring. Tossicodipendente, lussurioso, obeso, narcisista e manipolatore, si rivelerà l’avversario più temibile per il team dell’accusa, nonché per lo stesso Kelley, diviso tra codice etico-professionale e la necessità di aiutare un processo che, vale la pena ricordarlo, ancora oggi rimane molto controverso. Un film studiato per il grande pubblico nel senso più generalista del termine, e quindi un film parziale, che semplifica moltissimo, che si stringe attorno a Crowe sperando che basti. La sensazione finale è quella di trovarsi di fronte a un bignami tarocco versione cinematografica, un’occasione mancata.
Guardando negli occhi il Male che si ripete
Russell Crowe si è preparato in modo maniacale per questo ruolo. Il suo Hermann Göring, ex asso della prima guerra mondiale, poi diventato uno dei gerarchi più inefficienti, potenti, odiati e corrotti, ci appare esattamente per come era: un uomo intelligente, narcisista patologico a dispetto dell’obesità abnorme, deciso a giocarsi in aula la sua ultima partita, conscio della morte che lo attende.
Crowe parla in tedesco, sorride sornione, poi sfodera gli artigli, con Malek che non riesce mai, neppure una volta, a reggere il confronto. Ma basta e avanza il suo charme nel mostrarci il volto del Male in quanto mancanza di empatia e responsabilizzazione. “Norimberga” è afflitto da una parzialità che lo rende monco, incompleto, anche abbastanza banale in più di un momento. Si parla di Rudolf Hess, di Baldur Von Schirach, di Donitz, Julius Streicher, della famiglia di Goering, ma poco o nulla in realtà riguarda il Processo in sé.
Ma soprattutto, è gravissimo che manchi Albert Speer, che fu l’altro grande, importante, protagonista di Norimberga, il genio che si era venduto al Diavolo, uno dei pochi a salvare la pelle. Per carità, ci sono momenti di grande impatto, disseminati qua e là.
Tutti assieme, riescono a donarci la difficoltà nel confrontarsi con l’orrore che fu il nazismo nel momento in cui se ne rese palese la barbarie totalizzante, la banalità assordante. Ma il confronto con “Vincitori e Vinti” di Stanley Kramer del 1961 o con la miniserie televisiva della HBO del 2001 con Alec Baldwin e un magnifico Brian Cox è semplicemente impietoso.
“Norimberga” pare avere quasi coscienza dei suoi limiti, della prima parte prolissa, della sua prevedibilità. Il film cerca di affrontare il tema del dilemma morale, se non altro non si nasconde dal parlarci di un Processo che fu influenzato da necessità politiche interne, piegando spesso regole, procedure, o molto spesso inventandone di nuove data la sua natura di creatura appena nata. Permane una sensazione di sconfitta, che forse è l’elemento migliore di “Norimberga”.
Gli orrori di cui il mondo fu messo a conoscenza in quel Processo, l’istituzione di un diritto internazionale reale, non è bastata, non ci ha salvato. Lo sguardo al nostro presente, a Sudan, Ucraina e Palestina, è ciò che permette alla fine a “Norimberga” e Russell Crowe di meritare una visione, per quanto la conclusione sia tragica: non impariamo mai nulla.
Voto: 6