di
Massimiliano Nerozzi
La cura Spalletti fa bene alla Juventus, e si vede: dopo la preziosa vittoria di Bologna, i bianconeri mettono sotto anche la Roma e la avvicinano in classifica: quinto posto e -1
Non è ancora un tre stelle Michelin, la Juve, ma ha almeno smesso di mettere il parmigiano sulle vongole, andando dietro all’ironica metafora di Luciano Spalletti: i bianconeri vincono una grande partita, perché lo è stata, se non per qualità, che spesso andava e qualche volta veniva, per solidità e continuità nella durezza della battaglia. E, soprattutto, per il peso sulla classifica: all’incasso, Madama a meno uno dalla Roma (e dal quarto posto). Spalletti mantiene il self-control: «Tutte le partite sono difficili, ma vincere dà la fiducia e la consapevolezza di potersela giocare».
Banalizzando, la Juve ha vinto perché, alla fine, ha scovato dinamite davanti — a segno Conceiçao e Openda — mentre Gian Pietro Gasperini s’è ritrovato con il caricatore vuoto, difetto che lo persegue da inizio stazione. Anche per la scelta del terzetto leggero all’incipit: tra Dybala falso nueve con Soulé e Pellegrini ai fianchi. Da insostenibile leggerezza del non essere. Difatti, con dentro Ferguson, la Lupa almeno tirerà e azzannerà.
Questione di rosa, si deduce: «Quelli che ho scelto li reputo i migliori, ma è evidente che, rispetto alle prime, in alcuni reparti non siamo a quel livello», riassume Gian Piero Gasperini. La fase di non possesso giallorossa (nonostante due difensori titolari fuori) era stata al solito aggressiva e corrosiva, tanto da costringere Di Gregorio a sette lanci lunghi nel solo primo tempo (appena due a bersaglio) e permettere raramente alla Juve di consolidare il possesso.
Ne usciva una sfida di uno contro uno, bloccata e spezzettata, anche da plateali errori tecnici. Va da sé, sorveglianza a uomo su Conceiçao e Yildiz, limitandone inneschi e raggio d’operazione. Mentre Openda faticava a fare il target-man. Con il passare dei minuti, Madama riusciva a essere più fluida e a occupare spazi più che posizioni, come piace a Spalletti, creando le prime chance. Perché fin lì, la Signora era riuscita a entrare seriamente in area solo due volte, poco dopo il 20’, situazioni sventate da Svilar e Rensch prima, e dal calcio alle stelle di Thuram la seconda.
Le migliori combinazioni bianconere arrivano sull’uscio dell’intervallo, sempre avviate da Yildiz — uno spacciatore di inneschi — e con terminale Chico, bravo a tagliare dal lato debole, sovraccaricando la corsia mancina: al primo tentativo, il portoghese si libera bene, ma calcia il rasoterra addosso a Svilar (con il tap-in di Openda deviato da Rensch); al secondo, segna con il diagonale, dopo assist immaginifico di Cambiaso, al quale basta accarezzare il pallone una frazione di secondo, per indirizzarlo. Come se ai piedi avesse i polpastrelli di Sabonis (per i boomer) o di Jokic (per i più giovani). Con il nemico sempre addosso, bisognava essere degli interpreti degli spazi e avere quel timing che può dettare il passaggio in profondità e destrutturare l’assetto difensivo avversario.

La ripresa inizia con il diagonale di Yildiz (a lato di centimetri) e la botta al volo da fuori di Cambiaso (Svilar con i pugni). Dall’altra parte, la Roma faceva il turnover di tutto il tridente. Ormai, tirava brutt’aria. Difatti, a metà ripresa, la Juve aveva raddoppiato: cross di Zhegrova, zuccata di McKennie e, sulla paratona di Svilar, l’ennesima, dolcissimo assist per Openda, a porta spalancata. Tutto finito? Macché, con le orde fameliche di Gasp: recupero di Wesley su Zhegrova, rasoterra di Ferguson e ribattuta di Baldanzi. Da lì, spazi dilatati, un po’ di tennis, un’azione di qui e un’altra di là, e un palo pieno di Yildiz. La Juve reggerà: anche questo, in fondo, è un principio di grandezza.
20 dicembre 2025 ( modifica il 20 dicembre 2025 | 23:29)
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