di Matteo Persivale
La fine del secondo mandato ha segnato una svolta: è raro vederla a fianco di Obama (vedi insediamento di Trump) e ha cambiato immagine, dedicandoci il libro The Look. «Ho usato gli abiti per trasmettere i miei valori. Ho ricominciato a portare le treccine, da first lady non avrei mai potuto farlo»
«Ecco The Look, il mio nuovo libro. È qui. Sono così orgogliosa di questo progetto: questo non è soltanto un libro di bellissime foto, questo libro parla dell’importanza della diversità e dell’inclusione».
Michelle Obama s’è chiamata fuori dalla vita politica, fa lo slalom tra i paletti degli appuntamenti istituzionali con la grinta dell’Alberto Tomba dei bei tempi, evita funerali e qualunque altra cosa appartenga per tradizione ai doveri istituzionali delle mogli presidenziali perché, come ha spiegato varie volte, vuole vivere la sua vita.
Eppure proprio nel presentare il suo The Look, scritto con la stylist storica Meredith Koop (che ha lavorato per lei prima, durante e dopo gli otto anni di presidenza del marito), Michelle Obama ha nominato uno dei nemici numero 1 di Donald Trump e del popolo “Maga”: la «diversità e inclusione» che secondo la destra americana ha creato razzismo contro i bianchi e favoritismi immotivati per le persone di colore. Provocazione? No, semplicemente anche in questo caso l’ex first lady dice quello che pensa – in sostanza, fa come le pare. Scrittori di discorsi, consulenti politici? Appartengono al suo passato: il nuovo libro l’ha scritto con la fida stylist, non un politologo, ed è pieno di immagini patinate attraverso le sue duecento pagine. È il passo finale che mancava nella sua metamorfosi da personaggio politico a influencer.
Certo un osservatore politico spassionato potrebbe domandarsi quale sia il senso di una simile visibilità, in questa fase storica di strapotere repubblicano a Washington, il senso di optare per un racconto sul potere degli abiti della moglie d’un presidente, e sul potere dei suoi capelli in quello che, in ultima analisi, è un testo di self-help, però non dedicato a altri, ma a sé stessa («scelgo me stessa» è, da qualche anno, il suo motto). «È il riflesso di una vita passata a imparare come mostrarmi come me stessa, pur continuando a cambiare e crescere» spiega nel libro. «Ho visto in prima persona come gli abiti che indossiamo e gli stili che scegliamo possano trasmettere sicurezza, rappresentare la nostra cultura e persino darci coraggio. E la mia speranza è che la mia storia vi incoraggi ad abbracciare ogni versione di chi siete stati, di chi siete oggi e di chi diventerete».
Ecco così una lunga carrellata di “look” nei quali con l’aiuto della stylist spiega la sua metamorfosi, da ragazzina timida – e con il complesso dell’altezza: 180 cm – a avvocata di successo fino al ruolo di moglie d’un senatore, e prima first lady afroamericana. Gli otto anni alla Casa Bianca, poi la scelta di vivere una vita diversa da quella della moglie di professione. Il rifiuto di scendere in campo e anzi abbandonare la politica è stato da lei riassunto in una delle numerosissime interviste di queste ultime settimane spiegando che l’America non è pronta per una donna presidente, visti i precedenti di Hillary Clinton e Kamala Harris. Ha elegantemente glissato su cose abiette come il video dell’anno scorso in cui Errol Musk padre di Elon definiva Barack Obama «una checca» e diceva che «ha sposato un uomo, un travestito, lo sanno tutti. Quando Joan Rivers l’ha detto in tv è morta subito, due settimane dopo. Tutti sanno che Michelle Obama è un uomo, è ovvio, ci sono le foto: è in tuta da ginnastica e si vede un membro di nove pollici, si informi», ma il clima politico è quello.
A Good Morning America ha detto: «Ho voluto evitare che si prestasse troppa attenzione al mio aspetto»
Preferisce occuparsi delle cose che le stanno a cuore, cioè di se stessa. Il nuovo libro «parla della condivisione di uno spazio. Parla di appartenenza. Parla di come ciò che indossiamo sia un’armatura che ci veste e ci prepara ad affrontare le sfide della giornata. Vi darà un’idea chiara del perché ho voluto scrivere questo libro. E sono particolarmente orgogliosa che metta in risalto il mio team, la straordinaria triade, come le chiamo io».
Stylist, make-up artist, e hair stylist. La triade di donne alle quali ha affidato la sua immagine per “rivendicare” la narrazione attorno al suo aspetto, e condividendo la sua storia utilizzando le sue parole, non quelle altrui. Il libro analizza le sue scelte in materia di stile, e critica l’attenzione rivolta al suo aspetto durante i suoi otto anni da first lady (motivo per il quale scrive un libro di immagini sul suo aspetto: la vita è bella perché è contradditoria). Ma abiti, capelli, make-up sono il suo “soft power”: lungi dall’essere un mero ornamento, Obama definisce l’abbigliamento come una forma di «potere gentile», uno strumento sottile ma potente di comunicazione e influenza. Lo descrive come «un linguaggio a sé stante, un modo per inviare immediatamente un messaggio su chi sei, cosa ti interessa e in cosa credi». Come donna nera «in uno spazio tradizionalmente bianco», cioè la politica, Obama spiega perché ha usato gli abiti in questo modo: per rivendicare la propria autonomia, la moda come linguaggio – strategico e non verbale – utilizzato per trasmettere i suoi valori e ridefinire il ruolo di first lady. Un pilastro di questa strategia è stato il suo impegno a «collaborare con un gruppo eterogeneo di stilisti emergenti», in particolare stilisti di colore, che le ha permesso di sfruttare l’attenzione del pubblico per dare maggior eco ai messaggi ai quali teneva.
Obama spiega che, crescendo nel South Side di Chicago, ha imparato che lo stile può riflettere le proprie radici culturali e l’identità personale in contrapposizione alle pressioni sociali verso una presunta forma di «rispettabilità».
Dopo la vittoria storica del marito alle elezioni del 2008, sceglie per la cerimonia inaugurale della presidenza nel gennaio 2009 stilisti un po’ fuori dal grande giro del lusso, Isabel Toledo e Jason Wu, americani di prima o seconda generazione: anche questo un messaggio, di inclusività e appartenenza all’America che è cambiata (non è una combinazione se buona parte dell’ appeal trumpiano sia invece per la nostalgia della “vecchia” America).
L’idea, lavorando a stretto contatto con Meredith Koop, era quella di creare outfit che bilanciassero il contesto con l’espressione di sé: per questo, per il contesto, sono arrivati soltanto dopo l’uscita dalla Casa Bianca i look più aggressivi, come quello – molto fotografato – con gli stivali Balenciaga alti fino alla coscia con le paillettes dorate.
Stesso discorso per i capelli: nel capitolo Hair Journey, la signora Obama discute la tensione tra espressione del sé e aspettative del pubblico, rivelando la sua decisione iniziale di non indossare “acconciature protettive” come le trecce mentre era alla Casa Bianca (si tratta di capelli artificiali o naturali – quelli naturali ovviamente sono molto più costosi – con i quali le donne afroamericane lasciano riposare i loro capelli proteggendogli dagli agenti chimici molto aggressivi che sarebbero necessari per stirarli). Nel libro spiega chiaramente che «non c’era assolutamente modo che la prima first lady nera potesse presentarsi con le trecce».
Ma quando viene presentato il ritratto ufficiale alla Casa Bianca, ecco Michelle con le trecce: un gesto visto dall’America di colore, specialmente dalle donne nere, come una dichiarazione «audace, potente, lungimirante, visionaria».
Il capitolo conclusivo, Confidently Me, Me stessa, con fiducia, Obama riflette sulla sua vita dopo la Casa Bianca, e sottolinea che il vero stile è radicato nella «fiducia in sé stessa», un’ «esperienza reciproca, interiore». E superati i sessant’anni, si sente «più bella e più me stessa che mai».
Parlando con Robin Roberts di Good Morning America, ha spiegato che «ho riflettuto attentamente su cosa volevo comunicare con il mio stile. Durante i miei otto anni alla Casa Bianca, sebbene si prestasse molta attenzione al mio stile, al mio aspetto fisico e a tutto il resto, ho fatto in modo di evitare quella conversazione, perché temevo che potesse diventare una distrazione… Quindi questo è un altro aspetto di me. Avrei indossato stivali dorati alti fino alla coscia come first lady? No. No. Non l’avrei fatto». E le trecce alla Casa Bianca, per la cerimonia del settembre 2022? «È stato intenzionale. Avrei potuto facilmente sistemarmi i capelli. Ma è stato come se, vedendo me, l’ex first lady, una donna nera, presentarsi al mondo con i suoi capelli naturali un messaggio alle ragazze».
21 dicembre 2025
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