Dopo tanti anni bisogna trovare sempre qualcosa che stimoli Alessandro Borghese a fare di più?
«A me stimola già scoprire posti nuovi e piatti che non conosco. Va da sé, però, che ogni tanto qualcosa di divertente come andare a vedere cosa gli italiani combinano all’estero ci starebbe bene. L’importante, però, è dare spazio ai ristoratori: i protagonisti sono loro».
Il successo le ha dato tanto: c’è qualcosa che le ha tolto?
«Il tempo, che non te lo ridà indietro nessuno. Se parliamo delle mie figlie e di mia moglie, che poi è in azienda con me, conta poi molto la qualità del tempo che abbiamo, perché questo genere di vita qua te ne toglie tanto».
Come la risolve?
«Anche se il tempo manca, cerco di gestirlo in una certa maniera: per esempio non saltando mai gli eventi che reputo importanti, come le recite delle figlie. Per il resto, tante volte mi piacerebbe assorbire di più quello che faccio».
Una delle ultime volte che ci siamo sentiti mi ha detto che lei si è trovato dentro al cono di luce fin da bambino senza volerlo: ha mai sognato, anche solo per un momento, essere come gli altri?
«Non posso dire di averne sofferto, ma ho sicuramente battagliato in maniera diversa capendo che se ero sotto il cono di luce non era per il mio successo, ma per quello di qualcun altro, ovvero di mia madre. Questo è stato il mio volano: fare il mio. L’ho trovato con la cucina: la tv è arrivata dopo anni, ed è sempre stato camminare sulle uova».
Perché?
«L’ho sempre vissuta con un certo fatalismo: oggi c’è, domani chissà. Dovevo tenere la barra dritta e capire quanto sarebbe durato, ma oggi ho la fortuna di fare sia l’uno che l’altro, portando avanti due cose che mi appassionano molto. Anche se, alla soglia dei 50 anni, inizia a essere un po’ impegnativo».
I 50 li compirà nel 2026: li teme?
«Zero. Ma me lo ricordo quando mi fa male il crociato».
Esiste la crisi di mezza età o è un cliché?
«I 50 sono un periodo di riflessione, di conti che fai per forza di cose: il bilancio è fisiologico, ma non ci penso».