TRENTO. In Italia si stima che 1.100.000 persone convivano con una forma clinicamente rilevante di demenza e quasi un milione con deterioramento cognitivo lieve o Mild Cognitive Impairment. Un carico assistenziale che coinvolge circa tre milioni di caregiver.
Per quanto riguarda il Trentino, le stime elaborate sulla base dei dati istat al 1° gennaio 2025 indicano: 10.572 persone con demenza di età pari o superiore ai 65 anni; 8.868 persone con deterioramento cognitivo lieve di età pari o superiore ai 60 anni; 224 casi di demenza ad esordio precoce, tra i 35 e i 64 anni.
A pesare è il progressivo invecchiamento della popolazione e questa è una della maggiori sfide che ci troviamo da affrontare per il futuro. “Fondamentale è la prevenzione che deve iniziare dalla scuola” ci spiega la dottoressa Raffaella di Giacopo, dirigente medico dell’Unità Operativa di Neurologia – multizonale.
Dottoressa Di Giacopo, oggi in Trentino abbiamo oltre 10500 persone che convivono con una forma di demenza. Sono aumentate negli anni? Quali sono i primi sintomi di queste malattie?
Si, possiamo dire che le persone che convivono con una forma di demenza sono aumentate in particolare a causa dell’invecchiamo della popolazione in Trentino ma anche in tutta Italia.
I sintomi riguardano i sei “domini” in cui viene generalmente classificata la sfera cognitiva: Mnesico, Linguistico, Attentivo, Esecutivo, Visuospaziale e Prassico. Sta poi emergendo la necessità di includere la valutazione di un altro “dominio” che è quello della Cognizione Sociale.
Quando si ha una difficoltà in uno o più di questi domini si parla di “deterioramento cognitivo di grado lieve” o Mci (“Mild Cognitive Impairment”). Quando queste difficoltà cognitive rendono la persona dipendente dagli altri si parla di “Demenza”. Non è facile, per un familiare, cogliere precocemente queste difficoltà. E’ molto più facile, per esempio, cogliere un disturbo della memoria di fissazione nel caso in cui ci si trivi di fronte ad un esordio classico di Malattia di Alzheimer, poiché la persona, ad es., inizia ad essere ripetitiva, che cogliere difficoltà visuo-spaziali.
Ha parlato della possibilità di introdurre un nuovo ‘dominio’ che è quello della Cognizione Sociale. Di cosa si tratta?
Si intende la capacità cognitiva ed emotiva di comprendere il pensiero altrui, anche in base a dati non verbali, e di saper interagire in maniera adeguata in base al contesto sociale. Le difficoltà in questo dominio sono più specifiche, ad esempio, di altre forme di demenza, come le Demenze Fronto-Temporali.
Il Covid ha avuto delle conseguenze sulle demenze?
Non è stata fatta alcuna stima ufficiale sui pazienti. La mia personale impressione è che “l’esperienza –Covid” abbia da una parte slatentizzato ciò che prima o poi si sarebbe manifestato e che abbia, dall’altro, favorito l’aumento delle sindromi psichiatriche. Queste ultime rappresentano un fattore di rischio per lo sviluppo delle malattie neurodegenerative.
Si parla nei dati di persone con demenza di età pari o superiore ai 65 anni. Ci sono anche giovani che convivono con questa malattia?
Quando parliamo di malattie degenerative e di giovani intendiamo un esordio attorno ai 50 anni (range 40-64 anni). Si tratta in genere di forme do Demenza Fronto-Temporale o di forme atipiche di Malattia di Alzheimer (che si manifestano con disturbi visuo-spaziali o del linguaggio). La loro incidenza è comunque inferiore rispetto a quella della forma classica di Malattia di Alzheimer.
Esiste una cura per le forme di demenza?
Se intendiamo per “cura” un agente farmacologico o non farmacologico che ripristini le condizioni pre-morbose, ad oggi questa forma di terapia non esiste.
Esiste però, ed è importante sottolinearlo, la “presa in carico” del paziente e del/i suo/suoi caregiver che abbraccia la fase diagnostica, terapeutica in senso stretto, assistenziale.
Sono ormai in uso sia negli Stati Uniti, che in alcuni paesi europei (per es. Germania), che in alcuni paesi orientali (per es. la Cina) terapie “disease-modifying” a base di anticorpi monoclonali che hanno come scopo quello di rallentare la progressione dei sintomi.
Qual è il percorso che viene fatto per la diagnosi in Apss?
Quando un famigliare nota sintomi cognitivi o psichiatrici si rivolge al Medico di Medicina Generale. Quest’ultimo, che conosce il paziente, può somministrare un test specifico (Gp-Cog) ed escludere le cause potenzialmente trattabili del disturbo cognitivo (es. ipovitaminosi, malfunzionamento della tiroide..). Può decidere se indirizzare il paziente verso l’ambulatorio specifico per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (Cdcd) o orientarsi verso una diagnosi alternativa (per es. le sindromi ansioso-depressive possono manifestarsi anche con sintomatologia cognitiva). Presso l’ambulatorio Cdcd la persona viene sottoposta a valutazione clinica ed eventualmente indirizzata ad esami di secondo e terzo livello (testistica neuropsicologica, neuroimaging, esame del liquor). Ogni percorso è personalizzato.
I servizi sono pronti ad affrontare la pressione che arriverà dall’aumento delle demenze in futuro? Cosa si può fare per evitare queste malattie?
I servizi non devono limitarsi a “rincorrere” le statistiche. Credo che vi sia necessità di un diverso approccio, quale quello di investire nella prevenzione. Secondo il report pubblicato sulla rivista Lancet del 2024 si può agire sui 14 fattori di rischio riconosciuti evitando, nel 45% dei casi, che vi sia una progressione da Mci a Demenza. E’ stato dimostrato che fattori come la bassa scolarità, l’introito di grassi saturi, l’abitudine al fumo, la sedentarietà, l’introito di eccessive quantità di alcool sono importanti fattori di progressione “modificabili”. Sarebbe molto utile iniziare a fare prevenzione il più precocemente possibile, a partire dalla scuola.