di
Alberto Zorzi
L’inchiesta ha fatto emergere che i tracciati erano già «sofferenti» dieci ore prima del parto. La difesa: rispettati i protocolli. Il piccolo oggi è un ragazzino di 13 anni ed è tetraparetico: non riesce a vestirsi o a svestirsi da solo
La gravidanza era andata bene, senza nessun problema particolare. Ma quando a metà settembre del 2012 era arrivato il momento del parto, eseguito all’ospedale dell’Angelo di Mestre, il feto era andato in sofferenza e il taglio cesareo era arrivato sì, ma in maniera tardiva. O perlomeno così hanno ricostruito i medici legali Erich Cosmi e Nico Zaramella, i periti nominato dal giudice civile di Venezia Sabrina Bonanno, che nei giorni scorsi ha depositato la sentenza con cui condanna l’Usl 3 a risarcire quasi due milioni di euro a una famiglia veneziana, tra danni patrimoniali, non patrimoniali e spese legali. Quel bimbo infatti, che ora è un ragazzino, ha subito dei danni cerebrali e neurologici permanenti e irreversibili, che di fatto l’hanno reso disabile e incapace di essere autonomo. Per questo i genitori avevano deciso di fare causa all’azienda sanitaria con gli avvocati Guido Simonetti ed Enrico Penzo.
I segnali
Quando quel giorno il bimbo era nato, si era subito capito che qualcosa non andava: era apparso, secondo quanto scritto nella cartella clinica, «atonico, apnoico, con frequenza cardiaca minore ai 100 battiti per minuto e minimamente reattivo». Subito era scattata la rianimazione e alla fine la diagnosi era stata terribile per i genitori: «asfissia perinatale, sofferenza multiorgano, frattura della clavicola destra», che proprio la perizia giudiziaria ha attribuito alle erronee azioni dei sanitari che avevano seguito il parto. I tecnici parlano infatti di una «inadeguata condotta medica da parte dei sanitari dell’ospedale dell’Angelo, che avrebbero dovuto intercettare più precocemente i segni evidenti della negativa evoluzione della gravidanza ed anticipare il parto, ricorrendo al taglio cesareo». Già da mezzogiorno e mezzo, infatti, i tracciati del monitoraggio apparivano preoccupanti, ma per ore si erano tentate altre strade, con manovre che si erano rivelate inutili, se non addirittura dannose, come l’uso della ventosa o le ripetute manovre di Kristeller, ovvero la pressione manuale sul fondo uterino della donna, nella direzione del bacino, per agevolare l’uscita del nascituro. Solo alle 22 si era capito che il parto non avrebbe potuto essere naturale e alle 22.39 il bambino era nato, ma come detto ormai era troppo tardi.
Dopo aver dunque sancito il legame di causalità tra il comportamento scorretto e la disabilità, il giudice ha affrontato il cosiddetto «quantum», ovvero la somma dei risarcimenti. Che è stata particolarmente rilevante, visto il caso. Il bimbo è infatti tetraparetico e non riesce a fare da solo nemmeno le operazioni più semplici, come vestirsi e svestirsi. La disabilità è stata calcolata per il 70-75 per cento. Per questo il giudice ha liquidato un milione di euro come danno non patrimoniale, tra quello biologico e quello morale, cioè per la sofferenza interiore. Un altro mezzo milione riguarda la «perdita della capacità lavorativa futura», in quanto nelle sue condizioni sarà in grado di svolgere solo mansioni limitare. Circa 350 mila euro sono infine andati ai genitori per il danno subito anche da loro, oltre alle spese mediche. L’Usl 3, con il suo legale, aveva invece contestato la ricostruzione dei periti, sostenendo che i propri sanitari avevano seguito i protocolli e dunque non c’era stata alcuna responsabilità. Ovviamente ora sarà possibile fare appello contro la sentenza.
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3 agosto 2025 ( modifica il 3 agosto 2025 | 11:57)
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