di
Marta Serafini

Vita e morte a otto chilometri dai reparti russi

DALLA NOSTRA INVIATA 
REGIONE DI ZAPORIZHZHIA «Normal». Alza gli occhi al cielo Gheorghy e sospira. Ha appena finito di fare benzina. Una kab, una bomba volante, è caduta a pochi metri da lui. Ha colpito la Motor Sich, che un tempo produceva motori per i missili spaziali del programma sovietico e ora, nei suoi sotterranei anti atomici, contribuisce alla produzione bellica ucraina. Più di venti feriti. Vanno avanti a fatica le trattative. Ma ogni giorno Zaporizhzhia si sveglia e combatte la sua battaglia. «Normal», dice Gheorghy rassegnato.

È il fronte dimenticato, quello di una città che prima dell’invasione aveva 700 mila abitanti e ora è in prima linea assieme alle decine di villaggi che la circondano. Operai, agricoltori, abituati alla fatica e al dolore e che ora si portano la morte sulle spalle.



















































A Zaporizhzhia, il fronte dimenticato tra fibra ottica per colpire il nemico, vedove, scuole (e fabbriche) sottoterra

Su spalle meno larghe, lungo la strada per Malokaternyivka, i bambini hanno zaini colorati, camminano rasente la rete anti drone che ormai avvolge tutto. Per loro sono state allestite scuole sotterranee. Come se fosse «normal» vivere l’infanzia sottoterra. 

Ma tornati in superficie il pericolo dal cielo resta. Un gruppo di soldati sta sistemando le fortificazioni che corrono per centinaia di chilometri per tutta la linea del fronte. Barriere, fossati anticarro. Linea Egoza la chiamano, dal nome della fabbrica polacca che produce filo spinato. Molte trincee sono interrate. «Li vedi questi resti di drone? Poco fa hanno colpito un trattore nei campi», spiega un militare con il volto coperto dal balaklava, il passamontagna che prende il nome da una battaglia in Crimea nel 1854. 

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Otto chilometri dai russi, un punto nel cielo che sembra un moscone: è un FPV che sta fermo di vedetta. La pressione sale. Il panico è quello di un animale braccato. I social media straripano di video che mostrano i soldati di entrambe le parti morire in diretta mentre la telecamera li riprende. «Tranquilli, è nostro», spiega il soldato Volodymyr. «Non vi farà del male, a differenza dei russi noi non colpiamo obiettivi civili». E mentre lo dice tira su dall’asfalto un fascio di fibra ottica: fili di plastica quasi invisibili e usati dal nemico per colpire una centralina elettrica e lasciare il villaggio al buio.

A Zaporizhzhia, il fronte dimenticato tra fibra ottica per colpire il nemico, vedove, scuole (e fabbriche) sottoterra

Tutto diverso dai tempi dell’anarchico Nestor Makhno che nella regione, durante la guerra d’Indipendenza ucraina (1917-1921), fondò la cosiddetta Makhnovshchyna, territorio autogovernato controllato non da un singolo individuo ma da consigli e comuni, passato alla Storia come Territorio Libero. Ma anche Makhno usava la tecnologia. E aveva fatto montare le mitragliatrici su carri trainati da cavalli e, quando la fanteria nemica lanciava rapidi attacchi, i suoi uomini potevano rispondere.
I due pensionati

La via si avvicina a Orichiv dal 2022 bombardata senza sosta. Si sbracciano sul ciglio del sentiero Maria e Bogdan: sull’ottantina entrambi, sono rimasti senza riscaldamento e non sanno come tornare in città perché gli autobus non passano più. Cercano un passaggio, tremano intirizziti. Bogdan era ingegnere, ora è in pensione. Maria è casalinga. Sono preoccupati per il figlio al fronte che chissà se mai tornerà.

Arrivati a destinazione, ringraziano della corsa. E provano a offrire, premurosi, una banconota per sdebitarsi. 

Zaporizhzhia è la città con il viale dei caduti più lungo. Sedute in un ristorante, Yarina e Maria raccontano. Entrambe hanno perso i loro uomini in battaglia. Yarina sta prendendo un PhD in filosofia, nel 2014 faceva parte delle brigate di Euromaidan, suo marito Rostislav era un cecchino. È morto nel 2023 ad Adviivka. Maria ha dovuto dire addio per due volte a un uomo al fronte e ora si è arruolata come pilota di droni.

Non cerca vendetta, racconta. Ma vuole solo prendersi cura. E aiuta Yarina con «My love, I’m alive», ong che si occupa di assistenza psicologica alle vedove di guerra. Provano a trovarci una ragione. Senza smettere di guardare avanti e senza sentirsi vittime. «Ora parliamo di rimettere in sesto le donne che hanno perso i mariti. Ma  chi si occuperà dei traumi degli uomini che tendono a parlare poco? E chi eviterà a noi ucraine di essere messe da parte quando e se finirà la guerra?», domandano.

Cattivi presagi arrivano dal Dnipro, trasportati dal vento di ghiaccio. Dopo il disastro della diga di Nova Kakovcha nel 2024, il fiume è così prosciugato che si favoleggia di vascelli cosacchi emersi sul greto vicino all’isolotto di Khortytsia. Ma i gabbiani che non trovano più da mangiare non sono leggenda. Basta guardarli mentre volteggiano nel cielo grigio in direzione della discarica.

A Zaporizhzhia, il fronte dimenticato tra fibra ottica per colpire il nemico, vedove, scuole (e fabbriche) sottoterra

E, no. Tutto questo non è «normal». E mai dovrebbe esserlo.

21 dicembre 2025 ( modifica il 22 dicembre 2025 | 08:19)