Nel nuovo maxi-emendamento alla legge di bilancio approvato ieri dalla Commissione bilancio del Senato, (andrà in aula domani), il governo Meloni ha individuato un altro bersaglio da colpire: chi ha iniziato a lavorare quando era ancora un ragazzo e chi, dopo una vita di fatiche logoranti, sta sperando in un’altra vita. È un accanimento che trasforma i diritti acquisiti in variabili di bilancio. Il testo, partorito in un delirio tra il Senato, Palazzo Chigi e il ministero dell’economia. Si delinea così una strategia: fare cassa sulla pelle di chi pena di più sul lavoro, colpendo i lavoratori precoci e quelli impegnati in mansioni usuranti.
UNA CHIRURGICA spietatezza. Da un lato, si tagliano circa 40 milioni di euro annui dal 2033 al fondo per le pensioni usuranti, riducendone la dotazione e rendendo ancora più stretto l’imbuto per chi svolge lavori pesanti e notturni. Dall’altro, si colpisce chi ha versato almeno 12 mesi di contributi prima dei diciannove anni, restringendo ulteriormente le finestre di uscita. Come se non bastasse, l’esecutivo ha deciso di eliminare la possibilità di cumulare la previdenza complementare con quella pubblica per anticipare la pensione di vecchiaia, una norma che avrebbe dovuto garantire flessibilità e che invece viene sacrificata per recuperare oltre 130 milioni di euro entro il 2035.
QUESTE MISURE colpiranno conducenti di mezzi pesanti, addetti alle linee di catena, chi opera in miniere, gallerie o ad altissime temperature come nelle vetrerie. Sono lavoratori che hanno iniziato il proprio percorso professionale nell’adolescenza, accumulando decenni di contributi in contesti alienanti, tossici e pericolosi. La loro vita è stata scadenzata dal turno notturno e dal ritmo dalle macchine. Restringere le maglie del pensionamento anticipato per queste persone significa ignorare l’evidenza: l’età avanzata non è solo un dato anagrafico, ma un fattore di rischio concreto per la sicurezza e la dignità stessa della persona.
L’ULTIMO TASSELLO di una strategia punitiva riguarda il nodo della previdenza complementare, dove il governo ha scelto di smantellare un ponte verso la pensione costruito con i risparmi privati. Sopprimendo la possibilità di utilizzare la rendita dei fondi integrativi per raggiungere la soglia economica necessaria all’uscita anticipata, la maggioranza non solo tradisce la fiducia di chi aveva investito per tutelarsi, ma trasforma il Tfr e i fondi pensione in un mero strumento contabile per puntellare il bilancio pubblico. È un intervento che obbliga, di fatto, il lavoratore a restare al proprio posto più a lungo per compensare un vuoto normativo creato a tavolino. Invece lo Stato incassa un risparmio che crescerà progressivamente fino a toccare cifre sostanziose nel tempo.
«STANNO COMBINANDO un vero disastro sociale» ha detto Nicola Fratoianni (Avs). Per i Cinque Stelle è uno «scempio» che ignora come l’età avanzata in certi lavori sia la prima causa di infortuni mortali. Francesco Boccia (Pd) ha definito il governo «bugiardo e inaffidabile», evidenziando come la promessa di una manovra semplice si sia risolta in un «bricolage» legislativo che punisce sistematicamente chi ha già pagato di più.
DOPO AVERE AZZOPPATO il proprio ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti che aveva presentato le norme sul riscatto della laurea e sulle finestre del pensionamento anticipato, ieri la Lega ha parlato di «grande soddisfazione» perché l’età pensionabile sarebbe stata salvaguardata. Per Arturo Scotto (Pd) è una «vittoria di Pirro». Al di là delle nuove norme passate in commissione bilancio, l’età per uscire dal lavoro continua a crescere per la quasi totalità dei contribuenti. Si parla della cancellazione di misure come Opzione Donna. Insomma, la legge Fornero che meloniani e leghisti volevano cambiare è stata peggiorata.
CON AMARA IRONIA questa parabola politica è stata raccontata da Maria Cecilia Guerra (Pd) che ha parlato di una serie televisiva intitolata «La banda Meloni: Lo scippo delle pensioni». Nelle stagioni precedenti avevamo visto il taglio dell’indicizzazione e la potatura degli anticipi. L’attuale stagione, che coincide con la quarta manovra del governo Meloni, si è aperta con il colpo di scena di un’età pensionabile che si allunga di tre mesi e con il paradosso della Lega che esulta per aver bloccato emendamenti scritto dal suo ministro Giorgetti. Poi è arrivato il colpo ai lavoratori precoci e gravosi e le norme introdotte l’anno scorso sono state cancellate quest’anno per far quadrare i conti. E così l’anno prossimo inizierà la corsa al riarmo promessa a Trump e alla Nato. La paga chi vede la pensione trasformarsi in un miraggio.
GIORGETTI HA VOLUTO dimostrare ieri che è un ministro facente funzioni. Si è presentato in mattinata in Commissione bilancio. Tra stanchezza e fatalismo ha detto che per lui le dimissioni sono un’idea che torna «tutte le mattine». Lui sa come vanno le manovre e ha detto di averne fatte «ventinove». E dunque sa che il caos generato dal vecchio maxi-emendamento che lui stesso ha presentato è «naturale». Una naturalezza, si direbbe, un po’ anomala. Per Giorgetti conta «solo il prodotto finale». Un prodotto miserabile.