di
Gaia Piccardi

Un’intesa tra defender, Team New Zealand, e sfidanti, quattro (Luna Rossa, gli inglesi di Athena Racing, gli svizzeri di Alinghi e i francesi di K-Challenge), toglie dalle mani del detentore i centenari diritti da dittatore dell’evento

A un giro di boa da Natale, aspettando la nascita di Gesù Bambino, assistiamo all’avvento della nuova Coppa America, che rivoluziona la competizione più antica del playground sportivo. Un accordo tra defender, Team New Zealand, e sfidanti, quattro (Luna Rossa, gli inglesi di Athena Racing, gli svizzeri di Alinghi e i francesi di K-Challenge), toglie dalle mani del detentore i centenari diritti da dittatore dell’evento: la possibilità, cioè, di scegliere quando mettere in palio la vecchia brocca d’argento nata nel 1851 come circumnavigazione intorno all’Isola di Wight e con quali barche. Il privilegio che permetteva a chi la vince di tenersela il più a lungo possibile.

L’America’s Cup Partnership (ACP), invece, firmata dai cinque team che nel 2027 scenderanno in acqua nel Golfo di Napoli, sancisce la formazione di un’alleanza tra team: dalla Coppa in Italia in poi, sarà un’entità dedicata alla stabilità e alla crescita a lungo termine della regata più famosa e prestigiosa ad occuparsi del futuro e delle regole. Nasce un’America’s Cup più democratica ed inclusiva, insomma, con l’intenzione di entrare in una nuova era (auguri).
Come? Impegnandosi a organizzare un calendario di regate regolare e fisso, con la Coppa America ogni due anni, permettendo così a sponsor e broadcaster una pianificazione che prima non esisteva; appoggiandosi su un’organizzazione indipendente e condivisa, allo scopo di spartirsi le opportunità commerciali anche tra una Coppa e la successiva; condividendo i ricavi e controllando i costi, per creare un livello di competizione più elevato e condizioni di gara più eque per tutti, sperando di attirare nuovi sfidanti; mantenendo la Women’s America’s Cup e la Young America’s Cup (regate di cui Luna Rossa è campione in carica da Barcellona) e la bella abitudine di almeno una donna a bordo degli Ac75 (perlomeno) nella 38esima America’s Cup di Napoli.



















































Le barche sono un nodo importante. Due anni tra una coppa e l’altra sono davvero pochi per costruire uno scafo nuovo e renderlo competitivo. Eppure l’innovazione tecnologica è sempre stata una caratteristica di base dell’evento: il passaggio prima ai multiscafi (Bermuda 2017) e poi alle barche volanti, la straordinaria evoluzione impressa alla vela dai maestri kiwi, lo dimostra. Con una coppa biennale si procederà con le evoluzioni degli Ac75, chissà quanto tempo passerà prima di vedere in acqua una nuova classe. Ma d’altronde i rivoluzionari 12 metri durarono dal ‘58 all’87, anche gli Ac75 paiono destinati a lunga vita. Un’ulteriore perplessità riguarda la periodicità: l’America’s Cup è sempre stata un evento elitario, rarefatto nel tempo (sin troppo, certo), riservato a tycoon e miliardari con il pallino della vela. Privarla di queste caratteristiche per trasformarla in una competizione «popolare» rischia di snaturarla fino a renderla irriconoscibile, come è successo all’altra grande vecchia del panorama sportivo, la Coppa Davis. Ma forse è un azzardo da correre per non farla morire. Tempo, vento e onde ci diranno.

22 dicembre 2025 ( modifica il 22 dicembre 2025 | 10:33)