Alla fine, uno ha sparato. Potrebbe essere l’inizio di un poliziesco, la trama di un thriller con la cronaca di regolamento di conti o di una guerra esplosa dopo un crescere di tensione. Se ne potrebbe parlare addirittura nei libri di storia ma è un dato di fatto: la tensione tra automobilisti e ciclisti è cosa reale e articoli fatti male e commenti sui social diventano una benzina pronta a esplodere sul fuoco di ignoranza e arroganza con cui troppo spesso ci si mette alla guida di automobili (e anche di biciclette. Con la differenza che la bici non uccide, un’auto può farlo).

Alla fine la cronaca ci ha parlato di spari rivolti a ciclisti in allenamento da un’auto di passaggio. Rileggo questa frase e non riesco nemmeno a crederci. Poi c’è la cronaca, cruda.

Il video pubblicato da Gazzetta e da altri quotidiani mostra chiaramente un ciclisti che istintivamente abbassa la testa (è l’immagine d’apertura di questo editoriale).

Qualche settimana fa mi sono trovato a parlare proprio di questo durante una presentazione di biciclette. Uno dei negozianti presenti manifestava il suo sconcerto: “noi vogliamo vendere biciclette, ma siamo immersi in un contesto di odio che si vede chiaramente nei comenti sui social. Come possiamo fare?”

La domanda era rivolta a tutti, in particolare a “noi” giornalisti presenti. Mi sono sentito di prendere io il microfono, anche a nome degli altri colleghi presenti in quella sala. Quante volte ne abbiamo parlato sulle pagine di Cyclinside.

Bisogna smorzare l’odio, partiamo da qui. Il clima di intolleranza che si è creato sulle strade è inammissibile. È inammissibile sia quella degli automobilisti che ti fanno il pelo e poi guardano nello specchietto a vedere se ragisci, ma anche quella dei ciclisti che si comportano male e reagiscono a parolacce chi glielo fa notare anche educatamente.

No signori, non va proprio bene così. Sale solo la tensione e si finisce col legittimare l’imbecille di turno. Un criminale in questo caso, come nell’episodio in veneto dove un delinquente ha esploso dei colpi di pistola contro dei ragazzi in allenamento.

Perché?
Voleva uccidere? E se l’avesse fatto o anche solo ferito? Probabilmente, dicono le cronache, i colpi erano a salve.
Ma di sicuro ha spaventato. Ma immaginate la situazione?

Di quel terrore che poi torni a casa e ti viene voglia di lasciare perdere. Il fine probabilmente era proprio questo di un disgraziato che gira in auto con un’arma pronto a far valere i propri presunti diritti.

Bisogna smorzare questa tensione, è l’unica via questa. Insultarsi sui social non serve, anzi, appunto, rischia di armare un delinquente, a farlo sentire legittimato del suo odio.

Alla base di molte di queste tensioni c’è una scarsa conoscenza del Codice della Strada. Non è raro che i ciclisti vengano accusati di “intralciare il traffico” semplicemente perché occupano la carreggiata, ignorando che la legge riconosce loro pieno diritto di circolazione. Il confronto con altri Paesi è impietoso: in Spagna, ad esempio, il ciclista è percepito come utente debole e questo si traduce in maggiore rispetto e nel mantenimento di distanze di sicurezza che in Italia restano spesso solo sulla carta.

Gli esperti concordano su un punto: l’odio alimenta altro odio. Continuare su questa strada significa avvelenare ulteriormente la convivenza civile. La sfida, invece, è riportare al centro il concetto di strada come spazio condiviso, ricordando che automobilisti, ciclisti e motociclisti non sono categorie contrapposte, ma persone che si alternano in ruoli diversi.

Le soluzioni guardano soprattutto al futuro. Investire sulla formazione delle nuove generazioni viene indicato come uno dei passaggi chiave, anche attraverso esperienze concrete e simulazioni capaci di far comprendere la vulnerabilità di chi pedala. Provare, ad esempio, l’effetto del vuoto d’aria generato dal passaggio di un camion può rendere tangibile una paura che, dall’abitacolo di un’auto, resta spesso astratta.

A chiarire la gravità del problema c’è un paragone efficace: nessuno salirebbe su un aereo pilotato da chi non aggiorna le proprie competenze o ignora i protocolli di sicurezza da vent’anni. Eppure, sulle strade, si tollera ancora l’idea che la patente sia un diritto acquisito per sempre, svincolato dall’obbligo di conoscere le regole e rispettare gli altri. È da qui che passa, inevitabilmente, la possibilità di ridurre il conflitto e restituire dignità e sicurezza a tutti gli utenti della strada.

Qui di seguito, riporto alcuni degli articoli a tema scritti nel recente passato proprio su Cyclinside.

L’odio verso i ciclisti si legittima sui social. Il caso di Luca Chirico

I ciclisti e l’odio da evitare

Tre ciclisti investiti e uccisi: la tragedia e l’odio nei commenti

 

Odio “social” verso i ciclisti. Allarmiamoci