di
Giuliana Ferraino
Le stretta sulle nuove procedure di ingresso e l’atteggiamento della Homeland Security complicano la vita ai viaggiatori che portano con sé il cane. Il certificato CDC dell’Ats veterinaria non basta. Ecco cosa mi è successo
Tempi duri non soltanto per chi esporta merci negli Stati Uniti o per i turisti che per ora continuano a visitare il Paese nonostante tutto, ma anche per chi viaggia accompagnato dal proprio cane o gatto. L’amministrazione Trump sta facendo di tutto per scoraggiare i viaggi negli Stati Uniti imponendo nuove regole e il personale del dipartimento di Homeland Security contribuisce, a sua volta, a rendere tutto più complicato, come è successo a me arrivando a Miami con la mia adorata barboncina Ginny.
Da sette anni Ginny, che fa parte della famiglia e ci segue dappertutto, mi accompagna negli Stati Uniti almeno tre volte all’anno. E le vacanze di Natale sono una di queste occasioni. Però quest’anno le cose non sono andate lisce come al solito.
Da parecchi anni sono registrata nel programma Global Entry: in cambio di tutti i dati che mi riguardano – informazioni che ho condiviso di buon grado prima online e poi ho confermato con un’intervista di persona, pagando anche un centinaio di dollari – questo status, all’arrivo in qualsiasi aeroporto americano, mi permette di passare i controlli passaporto senza le file infinite a cui sono sottoposti i cittadini stranieri, specialmente in tempi di vacanza. C’è un percorso riservato, che continua a migliorare e diventare più veloce. Adesso basta guardare una telecamera e procedere direttamente alla barriera riservata dove di solito passo, mentre l’agente mi saluta con il mio nome di battesimo, senza nemmeno mostrargli più i documenti. Basta il controllo facciale. Ginny non è mai stata considerata o notata, ma ha sempre trotterellato indifferente al mio fianco.
Però questa volta non è bastato. Il poliziotto alla cabina di controllo mi ha chiesto il passaporto e me lo ha restituito applicando un tagliando arancione e spiegandomi che sarei dovuta andare a vedere un altro poliziotto, a una ventina di metri di distanza, che lui stesso mi ha indicato.
Il secondo poliziotto mi ha detto che sarei dovuta andare nella stanza 6 alla fine del corridoio lungo la sala dove consegnano i bagagli imbarcati. Da sola con il cane, di cui sono la proprietaria legale, senza marito e figlia, che viaggiavano con me.
Premessa. Per me che arrivavo dall’Italia erano circa le 2 di notte, ed ero stanchissima dopo una giornata infinita cominciata alle 6.15 del mattino, quando mi sono svegliata per prepararmi a prendere il volo delle 9.45 dal Linate per Parigi e poi da là la coincidenza delle 13.10 per Miami, scoprendo da un’e-mail ricevuta alle 6 del mattino che Air France aveva cancellato il primo volo. Panico, stress e telefonate, perché il giorno dopo i voli erano sold out e la compagnia ci aveva riprogrammato separandomi da mia figlia (lei via Parigi, io via Amsterdam). Alla fine, siamo riusciti a trovare un posto per tutti e tre sul volo da Malpensa per Parigi alle 11.35 e poi da Parigi a Miami alle 15.55, che però non aveva più posti in business class. Ma anche questo aereo è partito in ritardo e poi siamo rimasti 45 minuti sulla pista a Miami prima di raggiungere il gate e scendere dall’aereo, causa traffico aereo natalizio.
Vado alla stanza 6. Sono nella sezione delle ispezioni su cibo e prodotti agricoli (Food and Agriculture Inspection). Entro e vedo una grande sala con due metal detector per il controllo bagagli e due funzionarie sedute dietro un computer totalmente indifferenti a me e dall’aria poco amichevole. Saluto e spiego alla prima agente che devo far controllare i documenti del cane. Consegno la cartelletta con il passaporto, il certificato anti-rabbia e il certificato CDC (Centers for Deaseas Control and Prevention) che mi ha consegnato timbrato l’ATS veterinaria di Milano il giorno prima. Mi dice che vogliono vedere il certificato CDC. Faccio vedere il foglio che dice nell’intestazione, in neretto, “CDC”. Ma non seve a nulla. Non è questo il certificato CDC che serve, replica la funzionaria, in tono un po’ seccato.
Cerco di mantenere la calma e di essere il più cortese possibile, anche se ammetto che non è facile, perché sono sempre più stanca e anche irritata. Temo che lo faccia apposta, per farmi perdere la pazienza. Sono venuta negli Stati Uniti a giugno con Ginny e quello era il certificato CDC con cui ho viaggiato e nessuno ha obiettato alcunché, faccio presente con gentilezza. Le regole sono cambiate ad agosto, è la replica senza possibilità di appello. Ma come è possibile? L’ATS di Milano saprebbe se le regole sono cambiate. È una storia senza senso. Però non devo mollare. «Quindi, ora che cosa posso fare?», domando. «Puoi fare l’application online, ma prima metti il trolley e lo zaino nel metal detector e poi seguimi».
Procedo con un po’ di batticuore. So che in America non si può portare nulla di fresco. Ho amici che ogni volta che tornano in Italia, ripartono carichi di parmigiano (che qui costa una fortuna) e quant’altro, anche se è vietato, se li scoprono perdono tutto. Io ho solo un panettone, impacchettato. Non dovrebbe creare problemi, eppure sono agitata.
Trolley e zaino passano: la tipa mi chiede se ho cibo con me. Nulla, dico incrociando le dita. Non apre il trolly. È fatta. Sparisce e poco dopo ricompare con un foglio con un QR code, che devo inquadrare e poi compilare il modulo online con i miei dati e quelli del cane. Tutto, ovviamente, soltanto in inglese. Fatto, dovrei ricevere la ricevuta entro una decina di minuti, sostiene l’agente. Non sono così sicura.
Sono qui da più di mezz’ora. Mike mi sta chiamando ma respingo la telefonata. Mi manda un whatsapp. Credo che sia preoccupato perché sono sparita nel corridoio senza dare più notizie. Nel frattempo, nella sala è arrivata una coppia in viaggio dalla Turchia con due enormi valigioni, che dopo essere passati ai raggi X vengono aperti, tirando fuori di tutto. La funzionaria si divide tra me e la coppia.
Continuo nervosamente a controllare l’e-mail. Ecco, è arrivata. «La risposta del CDC è arrivata», grido in tono sollevato alla funzionaria alle prese con la coppia di turchi. «This is your dog import form receipt», c’è scritto. È valida per ingressi multipli per 6 mesi dalla data del rilascio per il cane registrato. Devo mostrare questa ricevuta, stampata o sul mio telefonino, al personale dell’aereo e ai funzionari del porto di ingresso negli Stati Uniti, viene precisato, dal CDC che si riserva il diritto di chiedermi ulteriore documentazione e di verificare le informazioni contenute nella ricevuta. Rileggendola mi rendo conto di aver dimenticato di specificare la razza del cane. «Poodle», cioè barboncino…Pazienza, è andata lo stesso. Posso andare.
Adesso mi è chiaro: il documento che ho compilato online è una sorta di ESTA per gli animali che viaggiano con noi, di cui non ero a conoscenza. Il certificato CDC dell’Ats veterinaria, peraltro in duplice lingua ma compilato a mano, apparentemente non è più sufficiente. Serve anche la ricevuta online del CDC. La regola introdotta il 1° agosto 2024 dall’amministrazione Biden per tutti i cani, anche quelli provenienti da Paesi a basso rischio rabbia come l’Italia, ma evidentemente con Trump c’è stata una stretta ferrea sui controlli e sulla burocrazia. Non c’è più tolleranza. Ora lo so, l’ho imparato a mie spese. Come so che senza sapere bene l’inglese non avrei mai potuto interagire con la funzionaria o tantomeno compilare il certificato CDC online. Un’altra barriera all’ingresso negli Stati Uniti della nuova amministrazione.
22 dicembre 2025 ( modifica il 22 dicembre 2025 | 16:03)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
