Il cinema natalizio nostrano ha sempre faticato a trovare una propria identità, oscillando tra il cinepanettone volgare e demenziale e più recenti, timidi, tentativi di imitare la formula hollywoodiana dei film Hallmark o Netflix, senza mai davvero riuscire a creare qualcosa di autentico od originale.
Amazon Prime Video, dopo il discreto successo di Elf Me (2023) con protagonista Lillo, tenta di nuovo la carta natalizia con Natale senza Babbo, commedia diretta da Stefano Cipani e scritta da Michela Andreozzi, approdata sulla piattaforma con ambizioni dichiarate di diventare un nuovo cult a tema. Il tentativo era quello di umanizzare la leggendaria figura di Santa Claus, affidando il ruolo principale ad Alessandro Gassmann, e dare al contempo spazio alle figure femminili della mitologia festiva dicembrina, affrontando inoltre argomenti contemporanei. Forse un po’ troppo per un film che non raggiunge neanche le due ore, e difatti non tutto è andato per il verso giusto. Ma andiamo con ordine, e scopriamo su che premesse si basa questa nuova incarnazione del racconto classico.
Natale senza babbo e senza stimoli
Conosciamo Nicola mentre è seduto in terapia insieme alla moglie Margaret, nel tentativo di risolvere una crisi coniugale che sta mettendo a repentaglio non soltanto il loro matrimonio ma anche la missione più importante dell’anno. Lui infatti non è un uomo qualunque ma Klaus XVI, l’ultimo in una lunga dinastia di Babbi Natale che si tramandano il ruolo nei secoli. Romano di mezz’età con moglie, due figli – Stella adolescente e Lampo che va ancora alle elementari – e una band di metal estremo composta da elfi chiamata Natallica, che passa più tempo a provare con il gruppo che a prepararsi per quella notte così tanto attesa dai bambini di tutto il mondo.
La situazione precipita quando Nicola, nel pieno di una crisi esistenziale, decide di sparire nel nulla a pochi giorni dalla Vigilia, lasciando la compagna con la responsabilità di salvare il Natale. Ma non sarà sola in questa impresa titanica: potrà contare sull’aiuto della Befana, prima nemica e poi inaspettata alleata, e di Santa Lucia, in una rappresentazione inedita dalle sfumature quasi horror. Sarà l’inizio di una corsa contro il tempo per salvare le speranze dei più piccoli e far arrivare i regali a destinazione.
Spunti inespressi
La sceneggiatura parte da un’intuizione potenzialmente brillante, per quanto non del tutto originale: umanizzare Babbo Natale trasformandolo in una persona comune, con debolezze e insicurezze, alle prese con problemi riconoscibilissimi per qualsiasi spettatore contemporaneo. E allo stesso tempo l’idea di dare finalmente spazio e centralità alle figure femminili della mitologia natalizia, troppo spesso relegate ai margini, nascondeva spunti e sottigliezze non da poco.
Il problema è che il film si bea troppo di se stesso, in una sorta di autocompiacimento che scade spesso nel kitsch e nel ridicolo involontario, non trovando il giusto equilibrio tra buoni sentimenti e verve parodica.
Vi è naturalmente la riflessione sulla perdita di significato del Natale nella società consumistica, con i grandi che hanno smesso di credere e hanno trasmesso la loro disillusione a quei figli per i quali il 25 dicembre è legato unicamente all’apertura dei regali. C’è il tema dell’emancipazione femminile e della necessità di ripensare i rapporti di forza tradizionali anche in seno alla nostra società e il rischio di burn-out in ambienti lavorativi sempre più opprimenti, con le sedute dallo psicologo a rappresentare un’abitudine consolidata per molti. Tutti argomenti ipoteticamente validi, meritevoli di attenzione e riflessione, ma qui trattati con una superficialità a tratti frustrante, che li riduce a semplici accenni senza mai davvero scavare in profondità.
Il risultato finale rende il personaggio di Babbo Natale più immaturo che umano, nonostante l’impegno di un Alessandro Gassmann che si muove in un cast di guest-star, con Diego Abatantuono e Angela Finocchiaro nei più gustosi ruoli di supporto. La parte del leone la fa però Luisa Ranieri nelle vesti di quella consorte lasciata sola nel momento del bisogno, alla ricerca di solidarietà femminile dalla Befana di Caterina Murino e dall’inedita Santa Lucia di Valentina Romani.
Vorrei ma non sempre posso
Tecnicamente ci troviamo davanti a un prodotto visivamente decoroso che in diversi frangenti si appoggia agli effetti speciali per costruire il versante fantastico della storia, con alcune scene di pseudo-azione che scimmiottano il cinema supereroistico. Gli elfi metallari, le sequenze di volo, la rappresentazione del Polo Nord e della fabbrica dei giocattoli all’interno di un iceberg in movimento sono realizzati con make-up e computer grafica di discreta fattura, seppur mai sbalorditivi.
Il film sembra essersi concentrato molto sul creare un universo visivamente ricco, aperto a potenziali spin-off, senza però dedicare la stessa attenzione alla coerenza narrativa e alla costruzione dei personaggi, che risultano così alla stregua di macchiette e che difficilmente rivedremo in futuro.
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