Questa non è un’intervista a Pogacar e tantomeno a Jonathan Milan, Ganna o Ciccone. Si parla di sicurezza, che dopo i fatti di Terlizzi non è mai abbastanza, e Lucio Dognini, che ne è il protagonista, starebbe volentieri dietro le quinte, preferendo che ad esporsi siano nomi più importanti di lui. In linea di principio potrebbe avere ragione, ma non sono stati i grandi nomi che dopo la morte di Samuele Privitera e il nostro editoriale del 21 luglio hanno scritto una mail: lo ha fatto lui. E dalla mail abbiamo preso spunto per ricontattarlo (in apertura, Monica e Luigi, in camicia bianca e polo nera: i genitori di Privitera alla ripartenza del Giro della Valle d’Aosta).
Dognini, bergamasco di 60 anni, è il titolare di Travel&Service, l’azienda che per anni è stata secondo nome sulla maglia della Valcar fra le donne, nel ciclocross con la Fas Airport Services-Guerciotti-Premac e sponsor minore della Biesse-Carrera-Premac. E’ presidente del team juniores Travel & Service Cycling Team-3B Academy ed è fra gli organizzatori della Due Giorni di Brescia e Bergamo, ugualmente per juniores. Nella sua mail si dice totalmente d’accordo con ogni articolo che parli di sicurezza e del fatto che le strade siano piene di trappole per ciclisti e che le auto siano troppo grandi e veloci.
«Ma personalmente – scrive Dognini – penso sia anche un modo per non prenderci le nostre responsabilità. Sì, non prenderci le nostre responsabilità: noi che siamo gli attori principali di questo sport!!».
Lucio Dognini, secondo da destra, in una visita alla Biesse-Carrera che sponsorizza
Lucio Dognini, secondo da destra, in una visita alla Biesse-Carrera che sponsorizza
Partiamo da qui: che cosa può fare il ciclismo?
Le squadre pagano ingaggi di milioni di euro, però non pensano che se uno di questi corridori si fa male, buttano via i soldi. Questo è il mio pensiero. Esattamente come il concetto del prevenire gli incidenti da parte di questi professionisti mega pagati quando sono in giro a fare l’allenamento. Quanti post avete visto, di squadre o di professionisti, che vanno in giro con le luci accese? Piuttosto vedi quello che mangia la pizza o si fa il selfie e per me è una cosa sbagliatissima.
Che cosa potrebbero fare invece?
Se facessero dei post in cui fanno vedere che vanno a fare gli allenamenti con le luci accese anche di giorno, con i lampeggianti davanti, darebbero l’idea che l’uso di certi strumenti li può aiutare a tornare a casa sani e salvi. Avremmo meno tragedie come quella di Sara Piffer e come lei Matteo Lorenzi. Meno ragazzi morti, meno ciclisti morti sulle strade. Invece fanno le loro esibizioni divertenti e non pensano che i ragazzi giovani li guardano. E le squadre non dicono niente. Glielo fanno mettere nel contratto che sono obbligati a rispettare il codice della strada?
I professionisti più in luce e i loro social sono un’ispirazione fissa per i giovani corridori (immagine Instagram)
I professionisti più in luce e i loro social sono un’ispirazione fissa per i giovani corridori (immagine Instagram)
I giovani guardano i professionisti, ripartiamo da qui per favore.
Ho anche una squadra di ragazzi e sto discutendo pure col mio direttore sportivo. Perché io voglio che vadano in giro con le luci accese anche di giorno: loro non lo fanno, il direttore sportivo li vede e non gli dice niente. Secondo voi questi qua danno ascolto a me oppure a chi non gli dice niente? Pensiamo solo a farli correre, a farli andare sempre più veloci, ma non facciamo niente per la loro sicurezza. Durante le gare, dove mi dicono ci sia una commissione federale al lavoro, ma soprattutto durante gli allenamenti. I miei hanno 16-18 anni, si allenano 20 ore a settimana sulle strade di oggi, essere visibili è una necessità. Eppure se vai in bici, ti accorgi che neanche il 10 per cento dei ciclisti usa la luce davanti.
Come quando non si usava il casco…
Poi i professionisti sono stati costretti a usarlo e adesso ce l’hanno tutti, anche se la normativa italiana non lo impone. Se i professionisti lavorano per loro sicurezza, automaticamente diventerà una buona pratica e magari l’amatore spenderà il necessario per comprarsi il completino in cui magari hanno inserito un airbag superleggero.
Anche perché testimonial di Garmin Varia, Nibali si è spesso mostrato con la luce anteriore (immagine Instagram)
Anche perché testimonial di Garmin Varia, Nibali si è spesso mostrato con la luce anteriore (immagine Instagram)
Difficili da portare in una salita alpina del Tour se non trovano il modo di renderli leggeri, ma il discorso non fa una grinza. Anche perché le strade sono davvero fatte solo a misura di auto.
Vorrei portare un punto di vista diverso. Sicuramente ci sono anche troppi dossi, creati per rallentare gli automobilisti che vanno sempre più veloci. Questo è palese. Siamo certi però che Privitera, come il ragazzo che è morto alla Gran Fondo qua a Bergamo un mese e mezzo fa, non avesse le mani sopra che gli sono scivolate? Io li vedo i ragazzini. Hanno sempre le mani sulle leve dei freni, che sono di gomma e diventano scivolose. Alcuni nemmeno usano i guanti. Chi glielo ha insegnato?
Anche qui si va per emulazione?
Di sicuro nelle scuole di ciclismo non tutti insegnano ai ragazzi che in discesa si deve andare con le mani basse. Non tutti insegnano questo piccolo dettaglio tecnico, grazie al quale difficilmente perdi la presa del manubrio. Sono punti di vista, ma dico che il sistema deve fare qualcosa. La Federazione, l’associazione dei ciclisti, voi giornalisti come punto di incontro.
Le discese con le mani sopra rendono la bici meno guidabile e la presa insicura. Lui è Lipowitz al Tour
Le discese con le mani sopra rendono la bici meno guidabile e la presa insicura. Lui è Lipowitz al Tour
Sarà interessante sentire su questo qualche professionista.
Prendiamo la caduta di Pogacar alla Strade Bianche. Poteva tranquillamente lasciarci l’osso del collo, finire su una sedia a rotelle. Invece come ne è uscito? Un super eroe, è uscito come un super eroe. Sapete che cosa è successo qualche settimana dopo? C’è stata la Strade Bianche Juniores e mio figlio, che corre in un’altra squadra, nell’allenamento del giorno prima è andato con i compagni a vedere quella curva. Perché quando sei in bici ti sembra di poter fare tutto e che nulla possa succederti, mentre non è così. Io questi ragionamenti li ho fatti con Davide Martinelli il sabato dopo la morte di Samuele.
Di cosa avete parlato?
Mi ha chiamato lui, perché io ho mandato un messaggio al gruppo dei miei atleti. Gli avevo scritto di non aver paura di tirare il freno in gara. E Davide Martinelli, che è un ragazzo sensibile, mi ha chiamato per condividere con me il pensiero. Sono questi i personaggi che dovrebbero parlare di certi argomenti, non io. La mia è una piccola voce che non fa rumore, ma se serve per avviare il dibattito, allora sono a disposizione.