di
Paolo Mereghetti

Le trasformazioni di Zalone da insensibile genitore in convinto pellegrino sembrano il frutto di qualche invisibile bacchetta magica tanto sono repentine

La comicità di Checco Zalone si regge – si reggeva – su due pilastri. Il primo era il piacere quasi infantile della trasgressione: nei suoi film condividevi senza farti tante domande il gusto della scorrettezza, della monelleria esibita e rivendicata, dello «sfregio» (mai però davvero cattivo o offensivo) verso una troppo diffusa omologazione, dove un tocco di demenzialità iconoclasta aiutava a condividere l’esibita mancanza di correttezza. Nei suoi film (almeno fino a ieri) quella risata un po’ sgangherata e un po’ birichina aiutava a smontare ciò che altrove poteva essere considerato un’offesa o un oltraggio. E a questo andava aggiunto – ecco il secondo pilastro – quella «meravigliosa mediocrità» (per citare la produttrice tv di Cado dalle nubi) che faceva dei suoi personaggi degli innocui Nando Mericoni (il protagonista di Un americano a Roma), la cui incompetenza e superficialità finiva per regalare allo spettatore un rassicurante sentimento di «superiorità». Con Buen Camino, che invaderà i cinema italiani il giorno di Natale (si parla di mille copie!), Zalone abbandona il suo personaggio tradizionale per diventare un ricco zotico e ignorante, che non sa quanti sono i continenti e che quando la sua fidanzata dice di essere di «città del Messico» è convinto che non voglia dire esattamente in che città è nata. Sembra di vedere la copia di Briatore del Billionaire, non quello vero però, ma quello sbertucciato da Crozza in tv. 

E come spettatore faccio fatica a credergli. Molta fatica. Quando esibisce la sua ricchezza alla giornalista di una rivista americana (il primo dei tanti nei della sceneggiatura scritta a quattro mani dal comico e dal ritrovato regista Gennaro Nunziante) finisci per ascoltare solo un elenco di cafonaggini senza più quella meravigliosa mediocrità d’antan. E l’unico effetto che ottiene è di non farti divertire a quello che dice e quindi di non aiutarti a credere al suo personaggio. L’idea del personaggio super-ricco serve per giustificare la reazione della figlia Cristal (Letizia Arnò), affidata alla madre (una quasi irriconoscibile Martina Colombari) e al suo nuovo compagno palestinese (perché palestinese? Per giustificare la battuta che lui si sarebbe istallato a «Gaza mia», visto che è sempre Zalone che paga la casa della ex moglie? Qui, più che di politically incorrect, parlerei di cattivo gusto). Comunque, la figlia, in evidente mancanza di senso della vita visto che anche la madre non sembra poi tanto meglio del padre, decide di partire per il Cammino di Santiago senza dire niente a nessuno. 



















































Così la madre avverte il padre che si mette sulle sue tracce e la raggiunge sul Cammino. All’inizio con una delle sue sei Ferrari e tutte le carte di credito gold; poi, per fortuna, aiutato da un’altra pellegrina (Beatriz Arjona) che cerca di «ripulirlo» dei suoi difetti da nouveau riche. A questo punto, più o meno, dovremmo ritrovare il vecchio Zalone pasticcione e incompetente (e però divertente) ma è la sceneggiatura che si perde per strada. La crociera in yacht che Zalone ha lasciato per raggiungere Cristal sparisce dopo essere servita solo per un paio di battute alla «Briatore/Crozza»; le trasformazioni di Zalone da insensibile genitore in convinto pellegrino sembrano il frutto di qualche invisibile bacchetta magica tanto sono repentine; i cambiamenti caratteriali di Cristal (e la sua miracolosa guarigione da una storta) non hanno mai una vera giustificazione narrativa. E se è vero che il film dura solo 90 minuti, un po’ di maggior credibilità nei comportamenti di tutti non avrebbe fatto male. Per non parlare dell’improvviso attacco di prostata che sembra appiccicato al film solo per giustificare la canzoncina «Prostata Enflamada» che accompagna i titoli di coda, dove solo alla fine sembra far capolino lo Zalone trasgressivo. Certo, avvicinandosi ai cinquanta e dopo sei film che hanno sbancato il cinema italiano, è comprensibile la voglia di cambiare. Anche i grandissimi hanno fatto evolvere la propria maschera, ma qui più che evoluzione mi sembra si rischi la distruzione. O comunque il grave deterioramento.

23 dicembre 2025 ( modifica il 23 dicembre 2025 | 07:50)