di
Marco Ascione
Il presidente della Cei: «Sull’Autonomia Zaia mi ha spiegato la sua posizione, ma non mi ha convinto». L’invito ad Atreju: «Parlo con tutti, ma guai a pensare che farlo significhi connivenza»
DAL NOSTRO INVIATO
BOLOGNA – Cardinale Zuppi, lei è stato più volte a Mosca anche per ottenere il rientro dei bambini ucraini. Ed è stato a Kiev. Putin continua a bombardare, ma si intravedono i contorni di un piano di pace. Siamo a un punto di svolta?
«Finalmente si prendono le misure di possibili soluzioni. Ogni pace è su misura».
Sarebbe giusta una pace in cui Kiev cedesse su tutto all’aggressore?
«La pace deve essere giusta. Ma giusta è la pace ed è sempre un compromesso che declina principi e realtà. Una strada che andava percorsa con determinazione già tre anni fa, quando ci fu la prima vera opportunità».
L’impulso decisivo lo ha dato Trump, dopo aver maltrattato l’Europa e il medesimo Zelensky. Qual è il suo giudizio sul presidente Usa?
«La sua insistenza ha portato al dialogo in Medio Oriente e in Ucraina, aprendo finestre che sembravano sigillate. Certo, preoccupa che abbia cambiato il nome del Dipartimento della difesa in Dipartimento della guerra: significa rinunciare alla convinzione che i conflitti si devono risolvere con il dialogo e con un’autorità sovranazionale. E questo sì cambierebbe il mondo. Rispetto alla sua politica ha ragione la Conferenza episcopale statunitense che si è opposta alle deportazioni indiscriminate di massa e ha chiesto il rispetto della dignità degli immigrati, oltre a giudicare inaccettabili misure che colpiscono famiglie e bambini e riducono programmi che tutelano il creato di Dio».
La Chiesa è contro il riarmo, l’Europa non dovrebbe difendersi?
«Non confondiamo difesa e riarmo. La Ue avrebbe bisogno di un efficace coordinamento unitario, premessa a un esercito europeo. Un riarmo proporzionato ai reali rischi della sicurezza. Ci vogliono coraggio e visione. De Gasperi diceva: l’Europa unita non nasce contro le patrie, ma contro i nazionalismi che le hanno distrutte».
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Per la prima volta lei è stato ospite di Atreju, la convention di Fratelli d’Italia. In una intervista a «il Giornale» ha anche assicurato che i rapporti con il governo, pur nella dialettica, sono buoni. Un modo per scrollarsi di dosso l’etichetta di porpora progressista?
«L’unica porpora, disse papa Francesco quando ci creò cardinali, è quella della testimonianza fino al sangue. Parlo con chiunque abbia voglia di dialogare. Guai a pensare che farlo significhi connivenza. Spesso la polarizzazione interessata e la malevolenza ignorante interpretano tutto in un’ottica errata, politica o di cedevolezza. Per di più il tema del welfare al centro del dibattito cui ho partecipato è significativo per tutti e per la Chiesa in particolare».
Lei è spesso ospite di eventi in cui si dibatte della vita politica del Paese. Qual è il suo principale obiettivo?
«La Chiesa, che servo come posso ma con tutto me stesso, ha solo un interesse: annunciare il Vangelo e servire la persona, con le scelte umane che questo comporta. La nostra missione non è occuparci solo dei principi ma difendere la vita dall’inizio alla fine, di tutti gli esseri umani. Non ci sono quelli di serie B. Fratelli tutti con uguale dignità».
È però anche in nome di questo principio che la Cei non è allineata alle posizioni del centrodestra sull’immigrazione, a partire dal modello Albania. Eppure l’Europa si muove nella medesima direzione di Roma.
«È un bene se l’Europa ha una posizione unitaria, ma dobbiamo stare attenti a non credere e far credere che c’è più sicurezza se alziamo ancora di più i muri. Si sconfigge l’illegalità con una legalità che funzioni. La vera sfida è governare un fenomeno di dimensioni epocali e renderlo un’opportunità così come esso è, attraverso i quattro verbi indicati da papa Francesco: accogliere, proteggere, promuovere e integrare».
Quindi bisogna aprire le porte a tutti?
«La logica non è dentro tutti o fuori tutti. La Conferenza episcopale italiana ha questa visione: liberi di partire, liberi di restare. Ossia aiutare i migranti qui in Italia, ma aiutarli a non partire offrendo strumenti per non lasciarla, cioè: educazione, lavoro, salute. Pensiamo poi ai corridoi umanitari, esperienze che dimostrano che l’accoglienza è possibile».
Circa un anno fa, lei ha avuto un colloquio riservato con l’allora governatore del Veneto Luca Zaia sull’autonomia differenziata, riforma fortemente criticata dai vescovi. Zaia l’ha convinta?
«Zaia mi ha rappresentato con intelligenza la sua posizione. Ci siamo capiti, ma non mi ha convinto. Mi pare che anche la Corte costituzionale abbia avuto qualcosa da ridire. È un tema su cui serve un accordo pieno, trasversale agli schieramenti per evitare discriminazioni all’interno del Paese».
Che cosa significa, per citare parole sue, che è finita la cristianità ma non il cristianesimo?
«Lo aveva detto Ratzinger, l’ha ripetuto Francesco. Non siamo più nell’epoca della cristianità. A maggiore ragione servono cristiani. La vera sfida è annunciare il Vangelo senza asserragliarsi nei bastioni di un passato che non c’è più. Casomai interroghiamoci sul perché e quali scelte non abbiamo fatto o pensavamo sufficienti e invece si sono rivelate dannose o inutili».
Secondo lei, la Chiesa come dovrebbe porsi quando i suoi principi non negoziabili vengono messi in discussione dal volere della maggioranza delle persone?
«Ci sono valori che per noi sono fondamentali. E restano tali. Esiste poi il principio di laicità, visto che non siamo nello Stato della Chiesa. E lo Stato non può non tener conto dei diversi punti di vista, ma sulle questioni antropologiche non può neppure fare a meno della pienezza della persona umana».
La Cei, invitando il Parlamento a fare una legge sul fine vita, ha compiuto un passo importante, quasi sorprendente, che ha messo in mora gli stessi parlamentari.
«Ci sono scelte che richiedono uno spirito costituente. Maggioranza e opposizione possono e debbono arrivare a un accordo. L’astensione viene anche da una politica che sembra non occuparsi dei problemi veri».
Come ci si dovrebbe porre di fronte a un malato terminale così sofferente e stanco di lottare al punto di chiedere il suicidio assistito?
«Penso che vadano profusi attenzione, rispetto, misericordia e comprensione verso il dolore umano. La vera dignità consiste nell’essere amato e protetto nella fragilità».
Quale sarebbe una legge giusta sul fine vita?
«La Chiesa non avallerà mai una legge che autorizzi il suicidio o l’eutanasia. Il nostro auspicio è che il legislatore segua il solco delle sentenze della Corte costituzionale, con le eccezioni previste nella parte in cui si depenalizzano alcuni comportamenti in casi determinati di malati terminali. Ma, innanzitutto, che contempli la vera attuazione in tutta Italia delle cure palliative. E che quindi si occupi della tutela della vita».
Si è detto che il documento sinodale è un sostegno ai Gay Pride. Lo è?
«È stata un’interpretazione malevola. Altro è quello che è scritto. E cioè: combattere contro le discriminazioni, il femminicidio, l’omofobia, la violenza».
C’è comunque, testualmente, un invito a «superare l’atteggiamento discriminatorio e a impegnarsi a promuovere il riconoscimento e l’accompagnamento delle persone omoaffettive e transgender così come dei loro genitori che appartengono alla comunità cristiana». È stato equivocato il messaggio?
«Quando si dice riconoscere, significa che tu ci sei e io ti accompagno. Non significa: fai quello che vuoi. È chiaro: questo è un tema sensibile, che esiste e che riguarda tutti coloro che a vario titolo vengono discriminati. E quindi la Chiesa non fa finta di nulla. Ma il Catechismo resta quello. Non lo cambia la Chiesa italiana».
Che cosa racconta il Natale a un non credente?
«Moltissimo. Analogamente al crocifisso, che come scrisse con assoluta grandezza d’animo Natalia Ginzburg, non genera nessuna discriminazione, è il simbolo del dolore umano, fa parte della storia del mondo e rappresenta tutti, il Natale ci riporta all’essenziale, all’umiltà, alla vera grandezza della vita e a riconoscerla in ogni persona. Natale aiuta a vedere la bellezza e la fragilità della nostra condizione, libera dall’idea terribile di forza ed esibizione di sé».
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23 dicembre 2025 ( modifica il 23 dicembre 2025 | 08:04)
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