Nell’ultimo tormentato miglio di una legge di Bilancio tanto piccola quanto foriera di grandi litigi, emerge la straordinaria flessibilità dell’Isee. Flessibilità positiva quando copre reali bisogni privi di sostegno; negativa quando garantisce aiuti a chi potrebbe farne a meno. L’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) venne introdotto per la prima volta nel 1998.
L’obiettivo era quello di trovare uno strumento oggettivo per delimitare la platea di cittadini, selezionata per condizioni di reddito ed eventualmente di patrimonio, destinataria di prestazioni sociali agevolate e bonus di varia natura. Come spiega oggi sul Corriere Mario Sensini, un emendamento alla legge di Bilancio lo ha ulteriormente complicato, pur rendendolo in qualche caso più generoso. Il valore catastale per escludere la prima casa dal calcolo dell’Isee è stato aumentato da 52mila a 91mila 500 euro. Ma per dodici grandi città arriverà a 200mila. Ciò non varrà per alcuni servizi offerti dai Comuni, come mense o asili nido, perché avrebbe determinato ulteriori difficoltà di bilancio alle amministrazioni.
Una misura che, dopo aver escluso anche il possesso di titoli di Stato per un massimo di 50mila euro, diventa di fatto ancora più regressiva. Si pensi solo a quanto siano ingannevoli i dati catastali. Si premia chi alcuni servizi potrebbe pagarseli, sostenendo il bilancio pubblico, togliendo così risorse a chi ne ha veramente bisogno. Nel 2026 l’Inps, però, potrà incrociare i propri dati con quelli di altre amministrazioni, come per esempio, il Pra, il Registro delle auto. Un esperto come Alberto Brambilla si è chiesto se possa corrispondere a verità il fatto che l’Isee abbia riguardato (dati 2024) trenta milioni di italiani, pari a 10,5 milioni di famiglie. Più della metà della popolazione italiana.
23 dicembre 2025, 11:45 – modifica il 23 dicembre 2025 | 11:48
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