Di fronte a un prodotto realizzato interamente con l’IA, come ci si dovrebbe approcciare? Quali dovrebbero essere i criteri di valutazione da usare? Ma soprattutto, ha davvero senso valutarlo? Sono queste le domande che mi sono balenate nella testa provando la demo di Codex Mortis, un titolo che fin dalle sue prime intenzioni, non solo non nasconde la sua reale natura sintetica, ma anzi ne fa quasi un motivo di vanto. Tuttavia, guardando al sodo e mettendo da parte per un attimo i grandi dilemmi etici sull’intelligenza artificiale e sul suo impiego nell’entertainment, il verdetto è spietato: è un prodotto scadente.
Un confronto impietoso
Senza troppi giri di parole, ci troviamo davanti a una copia spudorata di Vampire Survivors (qui trovate la recensione di Vampire Survivors), privata però di tutti gli elementi qualitativi e ludici che hanno reso l’originale un fenomeno di massa e un successo mondiale.
Il confronto è inevitabile e, purtroppo per Codex Mortis, impietoso. Prendiamo i personaggi: se in Vampire Survivors i nomi e le estetiche giocano con la cultura pop italiana in modo ironico ed evocativo, qui ci troviamo di fronte a figure anonime, quasi trasparenti, che non lasciano traccia nella memoria di chi gioca.
Meccaniche trite e progressione senza scopo
La struttura di base è quella che già conosciamo; ogni eroe ha caratteristiche uniche con abilità speciali e statistiche potenziabili, oltre alla possibilità di equipaggiare artefatti e incantesimi di vario genere. Prima di gettarsi nella mischia, il giocatore può personalizzare l’esperienza selezionando scenario, difficoltà e frequenza di spawn dei nemici.
La demo, in particolare, permette di testare la “Escape Mode”, ovvero la modalità classica. In teoria, la formula dovrebbe funzionare: una mappa enorme da esplorare liberamente che si popola di orde sempre più fitte di mostri, affiancati da mini e mid-boss che preparano il terreno all’arrivo del temibile boss finale. Se non si vuole subito perire, diventa quindi importante scegliere strategicamente non solo la build di partenza ma anche i vari upgrade così da poter arrivare più preparati allo scontro decisivo, avere la meglio e sbloccare nuovi livelli con altrettante sfide e nemici da sconfiggere.
Mentre si falciano centinaia di creature, ci sono una serie di attività secondarie da portare a termine come: aprire forzieri, attivare santuari e raccogliere rune, progetti per espandere l’inventario e monete da investire nel potenziamento.
Ogni uccisione contribuisce a riempire la barra dell’esperienza, portandoci alla fatidica scelta tra power-up caratterizzati da diversi tipi di rarità. Qui, però, la magia si rompe. Nonostante ciò, il senso di progressione appare artificiale. Manca totalmente la lore: non ci sono frammenti di storia da scoprire, nessun segreto che dia un senso all’esplorazione. Tutto si riduce a un farming frenetico che risulta fine a se stesso, un esercizio di stile che non porta da nessuna parte.
Deficit tecnico
È però sul fronte tecnico che Codex Mortis mostra davvero il fianco, rivelando tutta la fragilità di uno sviluppo affidato interamente all’IA. Il gioco è infatti costantemente piagato da bug e glitch che, uniti a un framerate altalenante, minano l’esperienza complessiva.
Lo schema dei controlli, pur essendo semplificato al massimo con gli attacchi automatici, soffre di un input lag che rende i movimenti pesanti e imprecisi mentre la compatibilità con i controller è poco ottimizzata.
L’uso della generazione procedurale, che dovrebbe essere un punto di forza, non è supportato da un buon level design. Gli oggetti interagibili e gli elementi dello scenario vengono creati dagli algoritmi in modo casuale, senza alcuna logica di posizionamento. Risultato? Spesso le casse o i santuari si sovrappongono tra loro, diventando praticamente inaccessibili.
Anche la UI non è esente da difetti. Font diversi dallo stile incoerente, icone non ben integrate e finestre di dialogo o testuali che si accavallano inficiando la leggibilità dell’azione e dei collezionabili o sbloccabili che si raccolgono.
Per non parlare poi dei nemici: la loro intelligenza artificiale è così basilare da essere controproducente e aggirabile senza alcuno sforzo. Quando lo schermo si riempie di creature, queste iniziano a intralciarsi a vicenda o a incastrarsi nei vari elementi ambientali, diventando facili bersagli o bloccando il passaggio.
Estetica e atmosfera evanescenti
Se passiamo al comparto artistico, la situazione non migliora. Le animazioni dei personaggi, fondamentali per dare feedback al giocatore, sono totalmente assenti. Al loro posto c’è un bizzarro “tremolio” creato tramite shader, che dovrebbe simulare il movimento ma finisce solo per dare fastidio alla vista.
I VFX e le sprite mancano di definizione e appaiono poco rifiniti. Anche l’orecchio vuole la sua parte, ma qui trova solo effetti sonori piatti e musiche estremamente derivative che risultano alla lunga ripetitive.
Tutto ciò contribuisce a una sensazione di distacco. Più si gioca, più cresce la voglia di interrompere la demo e tornare a Vampire Survivors. Codex Mortis non offre nulla di più, né a livello qualitativo né contenutistico; è un guscio vuoto, un clone imperfetto e dimenticabile.
L’IA come Deus Ex Machina
A ben vedere, l’intero progetto sembra essere un’iniziativa di marketing che cavalca l’onda dell’entusiasmo e delle polemiche per l’IA generativa. Molti utenti si scagliano contro questi prodotti, ma altrettanti si avvicinano per moda, curiosità o per semplice indifferenza verso le implicazioni etiche. Non è una critica aprioristica, ma è evidente che ci troviamo davanti a un’operazione guidata dal mantra “minimo sforzo, massimo guadagno”.
Copiare, di per sé, non è del tutto sbagliato.
L’emulazione può essere una forma di ammirazione e, se fatta con intelligenza, può essere un esercizio didattico eccezionale. Fare reverse engineering in termini di game design e programmazione permette di analizzare gli elementi costitutivi, diventando un utile strumento per chi vuole imparare il mestiere. Inoltre, può essere uno spunto non solo per comprendere e riprodurre alcune meccaniche ma anche per farle proprie ed eventualmente evolverle o migliorarle.
Può aver senso anche voler sviluppare un proprio LLM o sfruttarlo come caso di studio per sperimentare e capire fin dove ci si può spingere nell’ambito della generazione automatizzata di un prodotto complesso come lo è un videogioco.
Queste considerazioni mancano del tutto in Codex Mortis che col suo processo di sviluppo “a sentimento”, va quasi a banalizzare l’impegno e il tempo che tanti professionisti dedicano alla cura del dettaglio, al bilanciamento e alla narrazione.
Di fatto, si tratta di una serie di prompt dati in pasto a vari modelli generativi per creare un qualcosa di freddo, asettico e senz’anima. Insomma, l’antitesi stessa della creatività perché dietro non c’è una visione, non c’è l’ingegno umano che trasforma un’idea in un’esperienza emozionante.
E quindi, in definitiva, cosa resta di tutto ciò? Probabilmente niente e forse è giusto così, perché al di là della valutazione che si può dare all’opera, il suo valore intrinseco è, purtroppo, vicino allo zero.






