Ogni Vigilia di Natale, puntuale come un orologio svizzero, milioni di italiani si ritrovano davanti alla TV per un appuntamento che è diventato tradizione quanto il cenone o lo scambio dei regali.

Una poltrona per due, anche quest’anno trasmesso in prima serata su Italia Uno, è ormai un pilastro del 24 dicembre: un rito collettivo che attraversa generazioni, famiglie, case diverse, e che continua a esercitare un fascino quasi magnetico. Non importa quante volte lo si sia visto: il film di John Landis è diventato un simbolo delle feste, un pezzo di memoria condivisa che si rinnova ogni anno.Da critica sociale a cult di Natale: cosa è successo a Una Poltrona per due

Eppure, ciò che rende questo fenomeno ancora più interessante è il fatto che Una poltrona per due non nasce affatto come film natalizio. Quando uscì nel 1983, il Natale era poco più che un contesto scenografico, un fondale utile a creare contrasti visivi e atmosferici. Il cuore del film era – e resta – una satira feroce sul capitalismo americano degli anni ’80, un periodo segnato da trasformazioni profonde: deregolamentazione finanziaria, culto del successo individuale, crescita delle disuguaglianze e un’idea di ricchezza come misura del valore umano. Landis, con la sua regia brillante e corrosiva, racconta tutto questo attraverso una storia che sembra una favola moderna, ma che in realtà è un ritratto lucidissimo del potere economico e delle sue distorsioni.

La trama è nota, ma vale la pena rileggerla alla luce del suo significato originario. Louis Winthorpe III, broker privilegiato di Philadelphia, vive immerso in un mondo di lusso, sicurezza e status sociale. Billy Ray Valentine, invece, è un senzatetto che sopravvive di espedienti. Le loro vite vengono stravolte quando i fratelli Duke, due magnati della finanza, decidono di usarli come cavie per un esperimento sociale crudele: scambiare le loro esistenze per dimostrare che il successo non dipende dal merito, ma dalle condizioni di partenza. È un gioco al massacro che mette a nudo la fragilità del sistema, la violenza del privilegio e l’arbitrarietà del potere economico.

In questo senso, Una poltrona per due è un film profondamente politico, anche se mascherato da commedia brillante. Parla di disuguaglianze, di ingiustizie strutturali, di manipolazione finanziaria, di un mondo in cui pochi decidono il destino di molti. E lo fa con una leggerezza che non attenua la forza del messaggio, ma anzi la rende più incisiva. Rivederlo oggi, a distanza di oltre quarant’anni, significa confrontarsi con un’opera che ha saputo anticipare temi ancora attualissimi: la precarietà sociale, la distanza tra ricchi e poveri, la spietatezza di un capitalismo che non conosce etica. È forse anche per questo che il film continua a parlare al pubblico contemporaneo, pur essendo nato in un’epoca molto diversa.


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Ma Una poltrona per due è anche, e soprattutto, una straordinaria prova attoriale. Eddie Murphy, all’epoca poco più che ventenne, era già una promessa della comicità americana, ma è con questo film che dimostra di essere qualcosa di più: un talento capace di unire ritmo comico, presenza scenica e una naturalezza che conquista lo spettatore. Il suo Billy Ray è irresistibile: ironico, scaltro, vulnerabile, capace di passare dalla farsa alla critica sociale senza mai perdere credibilità. È un ruolo che segna una svolta nella sua carriera, proiettandolo verso il successo planetario degli anni successivi.

Accanto a lui, Dan Aykroyd offre una performance altrettanto memorabile. Il suo Winthorpe, inizialmente rigido e snob, attraversa una trasformazione che è insieme comica e umana. La chimica tra i due attori è perfetta: si completano, si rilanciano, costruiscono un duo che funziona come un meccanismo comico impeccabile. Anche i personaggi secondari – dai fratelli Duke alla straordinaria Ophelia interpretata da Jamie Lee Curtis – contribuiscono a creare un universo narrativo ricco, vivace, pieno di sfumature.

Che cosa, allora, ha trasformato un film così lontano dallo spirito natalizio in un appuntamento fisso della Vigilia? La risposta sta nella combinazione di fattori culturali e televisivi. La programmazione costante di Italia Uno ha creato un’abitudine che, nel tempo, è diventata tradizione. Ma c’è anche qualcosa di più profondo: Una poltrona per due racconta una storia di riscatto, di solidarietà, di ingiustizie che vengono ribaltate. E il Natale, con il suo immaginario di seconde possibilità e di ritorno all’umanità, ha finito per adottarlo.

Così, anno dopo anno, il film è diventato parte del nostro modo di vivere la Vigilia. Non perché parli di Natale, ma perché parla di noi: delle nostre fragilità, delle nostre speranze, del bisogno di credere che, almeno una volta all’anno, il mondo possa essere un po’ più giusto.

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