di
Rita Querzè
Il presidente di Confindustria: «La manovra? Il governo ci ha ascoltato»
«Non ci serve un ministro da copertina» aveva detto il presidente di Confindustria Emanuele Orsini il 5 ottobre scorso. In altre parole: va bene far tornare i conti e uscire dalla procedura d’infrazione, ma servono aiuti all’industria. Il 16 dicembre in legge di Bilancio è stato introdotto un emendamento da 3,5 miliardi per finanziare diverse forme di sostegno agli investimenti. Ieri l’approvazione in Senato.
Soddisfatto?
«Non possiamo dire che l’industria non sia stata ascoltata – risponde Orsini, in collegamento video dalla sua azienda in provincia di Modena –. Avevamo chiesto 8 miliardi l’anno per tre anni. Il governo ha capito che anche dalla ripresa dell’industria dipende il futuro dell’Italia e gli stanziamenti nel triennio sono arrivati a oltre 15 miliardi. Le risorse per iperammortamento e Zes Unica sono fondamentali per rilanciare gli investimenti. La politica industriale ha riguadagnato il posto che le spetta nel dibattito politico. Il vero tema però è la forte preoccupazione che viene dal pericolo più grande: la deindustrializzazione del nostro Paese e dell’Europa. L’industria italiana ed europea sono sotto attacco».
Attacco di chi?
«Da una parte la Cina inonda di prodotti a basso costo tutto il continente. Dall’altra Trump che fa di tutto per attrarre le nostre imprese. Serve un Piano. Lo abbiamo già condiviso con il governo, lo abbiamo chiamato “Rilancio Italia”, servirà a mettere in campo un’azione nel medio periodo coordinata su più fronti».
L’Europa?
«Ancora non ci siamo. Sembra solo interessata a introdurre regole e norme per rendere tutto ancora più difficile a chi vuole fare impresa».
L’inadeguatezza dell’Europa rischia di diventare un alibi.
«Lo dico da europeista convinto: questa Europa non la riconosciamo. Anche la revisione dello stop al motore endotermico nel 2035 è insufficiente».
Che cosa vorrebbe da Bruxelles?
«Tre cose: mercato unico dei capitali, difesa unica europea, mercato unico dell’energia. Così le nostre imprese potrebbero svoltare».
Difficile raggiungere questi obiettivi se resta il voto all’unanimità.
«Non sta a me dire il “come” che è oggetto del confronto politico ma il “cosa” sia necessario per le nostre imprese».
La nostra è l’energia più cara del continente.
«Questo è un punto cruciale. Sul tema abbiamo portato proposte concrete al governo. Ma è proprio l’Europa a non aver dato il via libera alla cartolarizzazione sugli oneri di sistema».
E l’abbassamento di 2-3 euro dei prezzi del gas, per allinearci al mercato di Amsterdam?
«Stiamo lavorando col governo su questo e altre misure. Contiamo sul fatto che un intervento per ridurre il costo dell’energia per le imprese arrivi il prima possibile».
All’ex Ilva la situazione è drammatica. Si allarga il fronte di chi chiede la permanenza dello Stato nell’azionariato. Quale è la sua posizione?
«Auspico che all’ex Ilva sia riconosciuto un valore strategico per l’industria nazionale, con le implicazioni che ne discendono. Lo Stato rimanga per vigilare dall’interno su una difficile fase di risanamento. Queste due condizioni, insieme con tempi sostenibili per la decarbonizzazione, potrebbero favorire la discesa in campo di attori industriali disponibili a entrare in cordata al fianco dei fondi (due le offerte vincolanti in campo, da parte dei fondi Flacks e Bedrock, ndr;)».
Realtà italiane?
«Me lo auguro».
L’Italia ha ancora dubbi sul Mercosur…
«Sono fiducioso che saranno trovate le giuste reciprocità e i giusti equilibri. L’Italia farà la propria parte perché il governo ha la consapevolezza di quanto questo mercato sia importante in questa fase. Il Mercosur è un mercato di sbocco che non possiamo perdere».
Una cosa su cui ha trovato l’azione di governo ancora insufficiente?
«La riduzione della burocrazia che ci costa ancora 80 miliardi l’anno. Si può fare di più. Per questo continuiamo a lavorare insieme sulle 80 misure a costo zero che abbiamo presentato».
Diceva all’inizio di un “piano Industria”. Su quali fronti dovrebbe intervenire?
«Due punti sono già emersi: costo dell’energia e riduzione della burocrazia. A questi bisogna aggiungere misure per favorire l’aggregazione delle imprese. E poi c’è un altro nodo da sciogliere. Nel 2040 a causa della crisi demografica mancheranno 5 milioni di lavoratori: dobbiamo attrarre immigrazione qualificata dall’estero, lavoratori che vanno formati a casa loro e poi inseriti».
Che ne è del Piano casa da lei caldeggiato fin dal suo insediamento?
«Finalmente questa istanza è stata compresa. Se non riusciamo a garantire a chi lavora affitti che non superino il 30% delle buste paga mettiamo in crisi le aziende. E non solo quelle private: penso a ospedali e realtà del trasporto locale. Un tavolo è stato istituito dal governo, abbiamo iniziato a lavorare la settimana scorsa con Chigi su questo dossier».
Scollinata la legge di Bilancio che cosa si aspetta nell’immediato?
«È importante che il decreto attuativo sull’iperammortamento parta a gennaio per evitare che ci siano dei “buchi”. E che sia istituita una salvaguardia per gli “esodati di transizione 5.0”, coloro che avevano fatto domanda dal 7 al 27 novembre, quando il flusso dei fondi è stato interrotto. Sono fiducioso, per la legge di Bilancio abbiamo lavorato bene con Meloni e Giorgetti. E anche con le opposizioni, tutte interessate alla salvaguardia dell’industria, ora contiamo su una proficua collaborazione con il Mimit e il ministro Urso».
L’Italia rischia la posizione di seconda manifattura d’Europa?
«Se non facciamo quello che serve, tutto è a rischio».
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23 dicembre 2025 ( modifica il 23 dicembre 2025 | 23:21)
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