di
Tommaso Labate

Da Fontana a Fedriga, la stima per il ministro: figura forte

La ferita si sarà pure rimarginata, visto che il calendario di fine anno è talmente fitto da aver derubricato il fuoco amico sulle pensioni a una sorta di «incidente di percorso» o di «fraintendimento», come l’ha definito Massimiliano Romeo, uno che s’è speso per evitare che l’incidente spingesse il partito oltre il ciglio del burrone.

Ma sulla guerra interna alla Lega che s’è scatenata attorno a Giancarlo Giorgetti le cicatrici rimangono, visibili a occhio nudo. Visibile a occhio nudo è stata la benedizione che Matteo Salvini ha dato in privato alla ciurma, capitanata da Claudio Borghi, che pur di far accantonare la norma sulle pensioni s’è spinta a definire «un ministro tecnico» il titolare dell’Economia. 



















































Come visibile a occhio nudo è stata la presa di posizione del «partito dei governatori», sceso in campo anche oltre i tempi supplementari — quando la norma era già stata cestinata — per difendere Giorgetti. L’ha fatto pubblicamente ieri il governatore della Lombardia Attilio Fontana, che parlando col Foglio l’ha definito «una figura talmente forte, competente e specchiata, che apprezziamo tutti», il cui valore non può «essere messo in discussione da nessuno». L’aveva fatto il pari grado del Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, sottolineando in un’intervista alla Stampa che «Giorgetti sta facendo un lavoro importantissimo per il Paese», perché «è un ministro molto lontano dalla propaganda e guarda ai fatti concreti» e «questo è un bene per l’Italia».

Messa in pausa dal capitombolo elettorale in Toscana e dal conseguente ingresso in un cono d’ombra del generale Vannacci, la cui ascesa nel cuore pulsante del Carroccio era stata oggetto del contendere tra i due fronti («Col ca…o che ci vannaccizziamo», Fontana dixit), la distanza interna tra la Lega di Salvini e quella dei governatori si ripropone attorno alla figura del ministro dell’Economia, anche se il perimetro in cui si gioca la partita è decisamente più esteso e la sua proiezione ormai è più sul futuro che sul presente. 

Di qua il segretario, sempre meno europeista, sempre più di lotta e meno di governo a dispetto dei galloni da vicepremier, sempre meno propenso ad allargare i cordoni della borsa quando si tratta di aiutare l’Ucraina; di là loro, dove loro sono non solo Fontana e Fedriga, ma anche e soprattutto Luca Zaia che governatore non è più: sono più europeisti, più di governo, più vicini all’Ucraina, inclini a declinare il fenomeno dell’immigrazione più nell’ottica delle imprese che in quella del dividendo nei sondaggi d’opinione.

Fuori dai confini della Lega, quando la questione dei due fronti del Carroccio finisce nelle chiacchiere degli altri partiti della maggioranza, com’è stato a proposito della disfida sulle pensioni, si tende a minimizzare la portata dello scontro, a derubricarlo alla replica di uno spettacolo andato in scena decine di volte a partire dal 2019, l’anno del Papeete, dei «pieni poteri» chiesti da Salvini. Stavolta però è diverso. Il 2026 sarà l’anno pre-elettorale, quello che fisserà la griglia di partenza della legislatura a venire. Uno di quelli che ha assistito da dentro al riaccendersi delle tensioni negli ultimi giorni racconta per esempio che «a Salvini piacerebbe da morire l’ipotesi di lanciare Giorgetti nella contesa per il sindaco di Milano anche perché sa che, in caso di bis nel 2027, Meloni lo riprenderebbe al ministero dell’Economia e per Matteo sarebbe quasi impossibile pretendere per sé anche il Viminale, visti i rapporti di forza attuali e quelli in prospettiva». Ma l’impresa forse è oltre i limiti dell’impossibile.

Quindi, per evitare che lo scontro tra i due fronti della Lega torni a deflagrare, serve una sorta di «patto», un accordo che eviti incidenti futuri tipo quello andato in scena negli ultimi giorni. Tra quelli che in Parlamento sono più sintonizzati col tridente Fedriga-Fontana-Zaia, per esempio, si fa largo una variante del modello tedesco «Cdu-Csu», che in Germania sono due partiti, col secondo che opera solo in Baviera. Immaginare la Lega divisa in due tronconi che si separano consensualmente è quasi fantapolitica. «Ma un riequilibrio nei vertici che tenga conto di questa differenza e la cristallizzi in via Bellerio no», è la controreplica di chi pregusta, nel futuro prossimo, lampi e fulmini sotto il cielo leghista.


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23 dicembre 2025 ( modifica il 23 dicembre 2025 | 22:06)