Una “crisi di territorio”

A Mattighofen, cittadina dell’Alta Austria da circa 8.000 abitanti, la crisi di KTM non si misura solo in bilanci aziendali o piani di ristrutturazione, ma anche e soprattutto nei costi che salgono e negli indotti che scendono. Il Comune non è formalmente in dissesto, ma dopo anni di relativa tranquillità finanziaria, oggi ogni voce di spesa viene sopesata con attenzione. “Ci manca circa un milione di euro nel bilancio, dobbiamo stringere la cinghia”, ha ammesso il sindaco Daniel Lang. Una cifra che coincide quasi perfettamente con quanto Mattighofen ha perso, su base annua, in entrate fiscali legate a KTM. D’altra parte, il benessere della città austriaca corre ormai da anni parallelo a quello di KTM: quando l’azienda funziona, Mattighofen prospera. E viceversa. La crisi del marchio s’è in un attimo riflessa sui cittadini: meno occupazione, meno commesse per le aziende dell’indotto, famiglie che si trasferiscono altrove, nuovi cantieri che non partono. Solo il taglio del personale ha comportato una riduzione di circa un milione di euro all’anno di gettito dalla Kommunalsteuer, cioè l’imposta comunale austriaca che grava sui datori di lavoro, nonché una delle principali fonti di entrata per il Comune. A questo si aggiungono gli effetti indiretti, tra fornitori locali che perdono contratti e abitazioni rimaste invendute. Certo, la ristrutturazione è sempre e comunque meglio della liquidazione paventata nei momenti più bui della crisi, ma il tunnel è ancora lungo. 

Smaltimento e produzione

Subentrato a Stefan Pierer, uscito prima dalla gestione e poi dalla governance, Gottfried Neumeister ha un obiettivo chiaro: riportare KTM in utile entro il 2027. Come? Il primo nodo è lo smaltimento dei magazzini, all’interno dei quali rimangono ancora tantissimi modelli invenduti.  Oggi lo stabilimento lavora su un solo turno, producendo meno di quanto vende. Entro fine anno, le stime riportate dal settimanale austriaco Profil parlano di 110.000 moto da smaltire, di cui 70.000 presso i concessionari e 40.000 dai depositi interni. Un processo che, secondo Neumeister, sta avanzando più rapidamente del previsto.  Il vero problema resta però quello industriale. Già oggi circa 120.000 moto di piccola cilindrata vengono prodotte in India. In Austria restano i modelli di fascia medio-alta, l’offroad e i prodotti a maggiore valore aggiunto, sotto l’etichetta “Made in Austria”. Ma la pressione sui costi è fortissima e Bajaj non lo ha mai nascosto, anzi, lo ha in più occasioni sottolineato: un cambio prodotto in India costa il 78% in meno rispetto all’Alta Austria, faceva notare pochi giorni fa Rajiv Bajaj, lo stesso che qualche settimana prima aveva anche detto che “la produzione europea è morta”. Parole che non lasciano ben sperare, insomma. 

Ridimensionamento strategico

Nel frattempo, KTM sta per forza di cose riducendo il perimetro di attività: ceduto il business delle biciclette (che secondo le stime avrebbe generato perdite per circa 400 milioni di euro), uscita dalla partecipazione in MV Agusta e venduta la KTM Sportcar a investitori belgi, sembrerebbe aver cambiato registro. “Non vogliamo essere i più grandi, ma i migliori”, ha detto Neumeister. “Non siamo ancora perduti – ripete – ma dobbiamo davvero rimetterci in riga”.