Nominato anche Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI, il nuovo film del grande regista americano parla di famiglia in maniera silenziosa ma universale. Ecco tutto quello che c’è da sapere su Father Mother Sister Brother, il film di Jim Jarmusch, da oggi al cinema con Lucky Red.
“Oh shit”.
Sono state queste le prime parole di Jim Jarmusch una volta sul palco della Sala Grande di Venezia, quando gli è stato consegnato il Leone d’oro 2025. Jarmusch in purezza, si potrebbe dire, anche se dietro quelle parole non c’era solo la reazione a una vittoria inaspettata, ma anche l’imbarazzo per essere stato quello che passerà alla storia come “il regista che ha rubato il Leone a Hind Rajab e alla causa palestinese”, giacché erano in tanti che avrebbero voluto il film Kaouther Ben Hania trionfare al Lido, più per ragioni politiche che cinematografiche.
Oh shit, dicevamo. Super cool come sempre, con una criniera di capelli bianchi inconfondibili a fare il paio con gli immancabili occhiali scuri, Jarmusch ha ringraziato la giuria per il Leone con un discorso molto bello:
“Tutti noi che siamo qui e che facciamo film non siamo spinti dalla competizione, ma accetto con gratitudine questo onore inatteso, e ringrazio rispettosamente la Giuria, e il meraviglioso Festival di Venezia, che è davvero una grande celebrazione dei diversi modi di fare cinema. Questo è davvero un grande onore. Quando sono arrivato qui una settimana fa, ho mandato subito un messaggio a un amico dicendo “Sono a Venezia, questa città splendida e misteriosa, luogo di nascita di Casanova, di Vivaldi e di Terence Hill”. Che luogo e che esperienza incredibile. Sono davvero commosso, e accetto questo premio per il nostro film silenzioso, che è anche per tutti coloro che vi hanno collaborato e lo hanno reso possibile, per degli attori incredibili, per due direttori della fotografia e due scenografi, per i costumi e per i montatori. Tutti insieme hanno creato il film, e poi ci sono quelli che lo hanno supportato finanziariamente: non farò tutti i nomi perché ho paura parta quella musica [musica che indicava che il tempo per i ringraziamenti era finito, n.d.r.], ma accetto il premio a nome di tutti loro. Apprezzo molto quello che ha detto il mio connazionale Benny Safdie sull’emparia (e a proposito, non è colpa nostra se siamo americani). L’arte non deve per forza affrontare direttamente la politica in maniera diretta per essere politica. Può creare empatia e legami, che è sempre il primo passo per risolvere le cose e i problemi che abbiamo. Grazie per aver apprezzato il nostro film silenzioso. Il grande maestro giapponese Akira Kurosawa ha ricevuto un premio alla carriera dall’Academy qualche anno fa, era già molto anziano, e ha detto qualcosa tipo che era preoccupato perché ancora non era sapeva bene come si facesse [il cinema, n.d.r.]: ho la stessa sensazione, imparo ogni volta che faccio un nuovo film. Non so cos’altro dire se non grazie”.
Quello che qui ci interessa, di questo discorso, è il fatto che Jarmusch abbia per due volte sottolineato come il suo Father Mother Sister Brother sia un film silenzioso (“quiet”, dice in inglese, che poi è un concetto più sfumato, che evoca calma e tranquillità), e soprattutto che abbia detto come l’arte può essere profondamente politica anche parlando di rapporti umani e non dei grandi temi.
Di quello parla, infatti, Father Mother Sister Brother, titolo che in qualche modo è una dichiarazione tematica, se non programmatica: di rapporti umani, familiari. Della natura complessa, spesso ambigua, in alcuni casi contorta, comunque sempre profonda del legami tra membri di una stessa famiglia, che Jarmusch tratteggia affidandosi alle parole sì ma fino a un certo punto, perché le parole – intere o mezze che siano – possono anche mentire, e spesso nelle famiglie lo fanno, e allora meglio lavorare lì dove lavora questo grande regista: sui silenzi, sugli imbarazzi, sui gesti, sulla prossemica, sul non detto.
Father Mother Sister Brother è composto da tre episodi, da tre incontri tra consaguinei, e in molti, dopo la proiezione a Venezia, hanno fatto un paragone tra questo e l’altro film a episodi di Jarmusch, che è stato Coffee and Cigarettes, solo che qui al posto di caffè e sigarette ci sono l’acqua e, al massimo, il tè, che regnano sovrani soprattutto nei primi due segmenti, quelli girati in America.
Se la struttura è in qualche modo assimilabile a quella di Coffee and Cigarettes, Father Mother Sister Brother ha toni e stile che sono inconfondibilmente jarmuschiani, e che soprattutto sono in linea con la tendenza antica e recente del regista a essere sempre più asciutto e minimalista, ma anche legato al linguaggio della poesia tradotto in immagine: come in Paterson, che forse è uno dei suoi massimi capolavori.
Father Mother Sister Brother: il trailer
Father Mother Sister Brother: Il Trailer Ufficiale Italiano del Film di Jim Jarmusch, Leone d’Oro al Festival di Venezia 2025 – HD
Proprio da Paterson (e dal successivo e poco compreso I morti non muoiono) Jarmusch recupera Adam Driver, uno dei tre protagonisti del primo segmento del film. Gli altri due sono Mayim Bialik (la Amy di Big Bang Theory) e soprattutto il gigantesco Tom Waits, qui sardonico e irresistibile, che sul set ha improvvisato quasi tutto, e che con il regista collabora praticamente da sempre: fin da quando si conobbero e si piacquero a metà anni Ottanta a una festa a casa di Jean-Michel Basquiat, e dalla prima collaborazione nel leggendario Daunbailò, anno 1986, il film con (anche) un grande Benigni e con quella scena – la scena in cui nei panni di Bob, l’italiano sproloquia nel suo inglese irresistibile del cucinare il coniglio e di sua madre Isolina – che è una straordinaria vetta di comicità.
Delle tre attrici del secondo episodio, Charlotte Rampling, Cate Blanchett e Vicky Krieps, solo l’australiana aveva già lavorato con Jarmusch, proprio in Coffee and Cigarettes, dove nel segmento intitolato “Cugine” interpretava un doppio ruolo, quello di sé stessa e di una sua cugina di nome Shelly che si ritrovavano a parlare dopo tanto tempo; ma c’è da dire che sia Rampling che Krieps (con un guardaroba favoloso) sono evidentemente a loro grandissimo agio.
Si chiude, a Parigi, con Indya Moore e Luka Sabbat, meno noti dei colleghi citati finora, molto giovani e molto belli entrambi, che Jarmusch ha voluto protagonisti del segmento forse più difficile del film, nei panni di due fratelli che devono fare i conti con l’improvvisa morte dei genitori in un incidente aereo e con l’addio alla casa della loro infanzia.
Si chiude dall’altra parte dell’Oceano, con due attori dal sangue misto, con due personaggi che ricostruiscono una storia familiare stravagante e misteriosa. Come a dire, forse, che certe cose sono uguali in tutto il mondo, in tutte le famiglie, anche quelle più eclettiche e originali.