di
Aldo Cazzullo
«Sono uscito dai bassifondi, dove la violenza era la norma. Oggi ho una vita alienante, dormo 4 ore a notte. Ultimo è un nerd come me»
Achille Lauro, sono uno dei milioni di italiani che è andato in fissa con «Incoscienti giovani».
«In effetti è la seconda canzone più ascoltata del 2025».
Ma a Sanremo è arrivata solo settima.
«Non importa. Alla fine è un po’ come se l’avessi vinto».
«Oh, bambina…».
«Mi sono messo al pianoforte, da solo, nella mia casa di Milano, e l’attacco mi è venuto subito: oh, bambina… Nella prima versione della canzone, questo grido di richiamo — oh, bambina — ricorreva molto più spesso. Anche il ritornello era diverso: “Dammi una carezza amore mio/ la tua dolcezza a casa mia…”».
Chi è la bambina?
«Un mio antico amore. Ma posso essere io stesso, la bambina. È una canzone molto autobiografica. Io le canzoni le vesto, le vivo, le rubo dalla realtà. Non mi invento niente. Faccio così anche con i concorrenti di X Factor: oltre alla voce, cerco di far emergere l’anima».
È rimasto male che non abbia vinto il suo campione, eroCaddeo?
«No. Non mi interessa sparare a caso, su più generi. Prima capiamo chi sei. Uscirai da lì con una fan base, e soprattutto avendo capito chi sei».
Torniamo a Incoscienti giovani. Qualcuno all’inizio aveva inteso male il testo: «Tutto quello che hai passato all’università…».
(Lauro sorride): «È vero, me lo dicono in tanti… In realtà, la canzone dice: tutto quello che hai passato è un’università. È un’esperienza personale, è un romanzo di formazione».
«E tuo padre non tornava la sera, l’hai visto solo di schiena…». È suo padre?
«Sì. La famiglia a un certo punto si è divisa. Sono emozioni forti, quelle che ho passato. Ma poi ci siamo ritrovati, e non voglio dire cose della mia famiglia se non belle. C’è molto di mio padre in me. Il suo non stare mai fermo, il suo lavorare sempre e sempre cambiando lavoro, professore avvocato magistrato, senza accontentarsi mai».
«No, lo so gli vuoi bene…».
«Cos’è il bene? Ognuno lo esprime come meglio crede. Alla mia età, a 35 anni, lo capisci di più. Quando cresci, allora comprendi, e perdoni. Inizi a vedere il mondo da adulto, ti rendi conto che la vita è difficile per ognuno. A vent’anni ti sopravvaluti, hai la presunzione di sapere tutto, di poter giudicare».
«L’amore è come una pioggia sopra Villa Borghese…».
«Villa Borghese è stupenda, Roma è stupenda, la mia città, anche se vivo a Milano dove succedono un sacco di cose; e nello stesso tempo è uno stupendo imperfetto. E l’imperfezione è importantissima. Le mie canzoni esprimono un’insoddisfazione perenne. È una benedizione, ma anche una maledizione. Invidio chi si accontenta. Io amo quello che non ho. Invidio mia cugina, che sognava una famiglia numerosa e ora ha quattro figli».
Lei figli non ne vuole?
«Al contrario. Anch’io, se devo sognare, sogno una famiglia numerosissima. Ma ora sono solo. Preferisco restare solo piuttosto che tradire. In questo momento non sono predisposto a una relazione importante».
Perché?
«Una relazione presuppone un dovere. Un atto di coraggio. Implica rinunciare a qualcosa. In questa fase non me la sentirei. Non sono pronto. Non voglio fare male a nessuno e non voglio che nessuno mi faccia male. L’amore può distruggerti, e può distruggere. Può portarti fuori strada. Amando ti metti nelle mani di qualcuno, sino a dargli la possibilità di farti a pezzi. E non voglio essere né vittima, né carnefice».
«Sono solo a fare a botte con gli amici miei…». Lei ha davvero fatto a botte?
«Scherza? Io sono andato via di casa a quindici anni. Sono andato a vivere in una comune con mio fratello più grande, a Val Melaina, in periferia. Fare a botte era il minimo. La violenza data e subìta era una costante. La vita prima dei social era molto più fisica, sentivi di doverti prendere tutto quello che la vita ti offriva. Nella comune vivevo con ragazzi grandi: chi dipingeva, chi faceva writing, chi stava nel movimento rave. Molti erano figli di nessuno, scappati di casa. Insieme abbiamo fatto di tutto».
«Amore mio veramente, se non mi ami muoio giovane…». Nei suoi testi la morte precoce torna spesso. In Rolls Royce lei cita Amy Winehouse, Marilyn Monroe, Jimi Hendrix, Elvis Presley: tutti morti giovani.
«Rolls Royce è una canzone che ti fa sentire forte, vivo: “Voglio una vita così…”. La mettono a Capodanno. Poi certo l’amore e la morte sono legati, sono centrali. Le nostre vite sono piene di burroni interiori. L’amore è il motore, ed è l’àncora».
Molti dei personaggi che lei cita sono morti di droga. La droga l’ha conosciuta?
«Eviterei di parlarne».
Non si possono evitare le domande.
«Nelle periferie la droga esiste. Io sono cresciuto lì. Ora vedo le cose con altri occhi. E vedo soprattutto i pericoli. Le atroci conseguenze. Ho fatto un disco che si chiama “Ragazzi madre” e racconta queste situazioni dall’interno. Tanti ragazzi hanno imboccato un percorso diverso dal mio. A vent’anni pare tutto uno scherzo, tutto normale. Voglio combattere con loro e per loro, li voglio aiutare. Per questo stiamo creando una fondazione che aiuterà i ragazzi di strada ma non solo, darà sostegno a tutti i ragazzi fragili».
«Ti chiamerò da un autogrill, tra cento vite o giù di lì…». Perché l’autogrill?
«Perché dà l’idea del viaggio, dell’on the road, del provvisorio, dell’agire d’impulso, dei pensieri che ti arrivano all’improvviso».
Cento vite… lei crede alla reincarnazione?
«Non sono ancora arrivato a quel livello di approfondimento. Credo che sia tutto già scritto, e che nulla accada per caso. Se incontri una persona, è perché la dovevi incontrare. Sono uscito dai bassifondi più bassi; ringrazio tutti i giorni per quello che ho. Uno con la mia storia non può non credere».
Si considera cristiano?
«Cosa significa essere cristiano?».
Credere in Gesù Cristo.
«Per me significa ricordarsi degli altri. Ricordarsi di chi ha bisogno. Ricordarsi che siamo tutti qui per una missione. Mia madre è una sorta di missionaria, una che è vissuta per gli altri, casa nostra era sempre piena di ragazzi in affido. Ricordo Natali affollatissimi».
«Se non ti amo fallo tu per me…».
«Era una storia importante, quella che racconto nella canzone, ed è finita per colpa mia. Ma ho vissuto tutto intensamente, senza mai diventare cinico. Ora so amare anche senza una relazione. È un momento splendido, in cui preferisco essere libero. E poi viaggio moltissimo».
Dove?
«In America: Los Angeles, New York. Sono stato un mese in Giappone. Mi sento benedetto, e nello stesso tempo ho una vita alienante».
Perché?
«Sempre in giro, senza fermarmi mai. Non esistono i week end, non esiste la possibilità di staccare. Sono sempre immerso nel mio progetto. Lavoro venti ore al giorno. Siamo tutti figli di un sogno, tutti figli di qualcosa che non esiste, ma non potremmo fare nulla senza lavoro. Mettere al mondo un figlio adesso sarebbe come buttarsi dal quinto piano senza paracadute. Dormo pochissimo».
Quanto poco?
«Al massimo quattro ore per notte. Nel 2026 voglio prendermi più tempo per dormire».
Sarà difficile. Il 2026 per lei sarà l’anno degli stadi: l’Olimpico, San Siro, Rimini.
«L’anno prossimo canterò per quattrocentomila persone. È vero, sarò negli stadi. A partire da Roma. Fatico ancora a rendermene conto. Solo quando sarò là, capirò quanta strada ho fatto».
Il club degli stadi è molto piccolo. In Italia li riempiono in pochi. Il più giovane è Ultimo.
«Mi interessa molto. È un ragazzo del tutto centrato sulla musica. Un nerd come me».
Il più grande è Vasco.
«C’è grande stima. Ci siamo incontrati lontano da casa, a Los Angeles. Un grande comunicatore della cultura italiana. E poi ha un repertorio fantastico, può cantare quaranta canzoni una più bella dell’altra».
Non siete in molti ad avere un repertorio.
«Le mie canzoni possono non piacere, però un concerto di due ore lo reggo. Quest’anno ne ho aggiunte tre: Amore disperato, Amor, e appunto Incoscienti giovani».
«Ti cercherò in un vecchio film…». C’è un gusto vintage, nella canzone, nel video.
«È diventata un inno generazionale. Ma in realtà appartiene a più di una generazione».
Il video evoca «La dolce vita» di Fellini.
«È uno dei film della mia vita».
Quali sono gli altri?
«Big Fish di Tim Burton, con il figlio che alla fine racconta al padre la sua stessa favola: l’amore a cerchio di vita, il surrealismo che si fa romanticismo. E poi la favola per eccellenza della mia generazione: Il re leone. E tutto il neorealismo italiano. Le facce del popolo, gli attori presi dalla strada. Da De Sica a Pasolini. Non a caso il mio ultimo album si chiama Comuni mortali».
«Oh, bambina, dormivamo in un Peugeot…». Ha mai davvero dormito in macchina?
«Certo. Ho dormito in hotel a una stella, in via Boccea. Poi, quando finivo i soldi, magari dicevo agli amici: vado in albergo, e poi dormivo in macchina. Anche in macchine più sfigate di un Peugeot».
«Sì, noi due ladri di fiori…».
«Questo è un verso che è piaciuto molto, in cui tanti si sono identificati. Come nell’idea che è meglio essere disperati piuttosto che accettare le ipocrisia e i compromessi di una vita borghese».
«Di amore muori veramente…».
«L’ho detto, l’amore può distruggerti. Abbiamo orrore della solitudine, così facciamo grandi cazzate. L’amore non è una cosa da gestire, non è una cosa che debba per forza durare nel tempo; si ama per cambiare se stessi, per cambiare l’altra persona. Ho visto tutte le facce della medaglia, ho vissuto ascese e tonfi, ho fatto esperienze di ogni tipo…».
Anche amori omosessuali?
«No».
«Fammi una carezza amore mio, ma che mi faccia male…».
«È la scena dell’addio. Ci fumiamo insieme ancora mezza sigaretta, poi basta. L’ultima ce la prendiamo. L’ultima sigaretta è un’immagine letteraria, da Coscienza di Zeno. O da canzone di Jannacci».
Infine, il verso cult: «Noi due orfanelli alla roulette, siamo a Las Vegas sotto un led…».
«Gli orfanelli sono i numeri della roulette che si possono giocare soltanto da soli, mai in combinazione. Sono i numeri rimasti fuori. E noi bambini ci giochiamo quello che arriva, in un mondo onirico, orfani sognanti su un tavolo da gioco, sotto le luci di Las Vegas, sempre alla ricerca di qualcosa che non esiste».
Qual è il suo sogno?
«Suonare a San Pietro. Adoro Michelangelo: la Pietà, il Giudizio universale della Sistina. Trovo affascinante la figura di sant’Agostino, un uomo controverso; e Papa Leone è un agostiniano».
Lei si produce da solo.
«Da dieci anni produco tutto quello che faccio: i dischi, i video, i vestiti, gli spettacoli, tutto quello che serve a mettere a terra il pensiero, a realizzare il progetto. Tutte cose nate da una volontà. Amo creare mondi. Se non facessi così, se non fossi anche il produttore di me stesso, non avrei potuto fare quello che ho fatto. Compreso decidere quando rischiare».
Quando ha rischiato?
«A Sanremo 2020, quando sono diventato san Francesco nella scena della spoliazione, la regina Elisabetta, Ziggy Stardust, la marchesa Casati Stampa. Ho rischiato io, come immagine, e ho rischiato economicamente. A volte va bene, a volte è una catastrofe».
Quando è stata una catastrofe?
«L’Eurovision non è stato un successo. Ma si è rivelato comunque un errore preziosissimo per costruire il mio percorso. Per me la musica è la trasposizione di quello che siamo nella nostra vita. Non sono mai sceso a compromessi con il mercato, sono sempre stato fuori rotta. Quando stavo per raggiungere il massimo successo in quello che facevo, mi spostavo».
La accusano di aver giocato al maledetto, di essersi presentato come trasgressivo, e di aver poi scelto la melodia, il romanticismo. Un po’ come Renato Zero, che parte con Mi vendo, il Triangolo, il Baratto, e poi canta «I migliori anni della nostra vita».
«A parte il fatto che Renato Zero è un grandissimo, uno che giocava con le identità già negli anni 70…».
Questo lo penso anch’io.
«… Non ho mai cercato la trasgressione fine a se stessa. Volevo costruire uno spettacolo, un percorso, non “fare colpo”. A Sanremo mi chiedevano: cosa farai per stupire? Rispondevo: nulla. E poi sono un timido. Non sono fatto per postare sui social, ma per stare sul palco. E nelle mie canzoni c’è sempre la sofferenza. Amore disperato ha un testo che mi ha smosso dentro, mentre lo scrivevo. Non è certo una canzone leggera. Come “Bimba mia” di Califano: una grande canzone d’amore».
Lei nel testo cita «Sempre e per sempre» di De Gregori.
«Ho una foto con la ragazza di Amore disperato, e la musica di sottofondo è Sempre e per sempre di De Gregori. Eccola».
È la foto di un bacio.
«È la foto di un amore».
24 dicembre 2025
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