di
Valentina Baldisserri e Ilaria Sacchettoni

I giudici contestano «l’assoluta indisponibilità dei genitori a derogare anche solo temporaneamente e in via emergenziale ai principi ispiratori delle proprie scelte esistenziali

La soluzione morbida, come il ricongiungimento «monitorato» dai servizi sociali, non è percorribile, ostacolata dalla «notevole rigidità» di babbo e mamma Trevallion. Nelle sei pagine di provvedimento, la presidente del Tribunale per i minorenni, Cecilia Angrisano, torna ad esaminare le circostanze che, una volta di più, conducono alla soluzione (temporanea) della casa famiglia per i tre bambini: «Gli indizi — scrive il magistrato — che si ricavano dalla condotta tenuta dai genitori nelle interlocuzioni con le autorità sanitaria e sociosanitaria e nell’ambito di questo procedimento parrebbero deporre in favore di una notevole rigidità dipendente dai valori ai quali conformano le loro scelte di vita e dell’assenza di competenze negoziali che consentano loro di ottenere i risultati perseguiti e di farlo al minor costo possibile».

Nessun compromesso, nessun negoziato, sembrano possibili. I Trevallion, in particolare la mamma Catherine, sono refrattari alla via della collaborazione con le istituzioni. Intransigenti nei loro principi dai quali sembrano guidati oltre ogni convenienza. La giudice sceglie un esempio tra tutti: la mancata applicazione di un sondino suggerito, a suo tempo, dai medici dell’ospedale che curò la famiglia per l’intossicazione di funghi dei bimbi. 



















































«Significativo — osserva — appare il rifiuto del sondino naso gastrico (verosimilmente perché fatto di silicone o poliuretano) nel trattamento dell’intossicazione da funghi dei figli in occasione del ricovero in ospedale che denota l’assoluta indisponibilità dei genitori a derogare anche solo temporaneamente e in via emergenziale ai principi ispiratori delle proprie scelte esistenziali; come del resto necessario insistere perché la madre abbattesse la sua contrarietà necessaria a trattare la seria bronchite con broncospasmo da cui era affetta la più piccola». Anche un antibiotico può compromettere il severo equilibrio naturale della famiglia del bosco? Sì secondo il Tribunale. È, questo, un aspetto centrale perché impatta sulla salute dei bambini, diritto primario di tutti.

C’è poi, collegato, l’aspetto relativo all’abitazione incerto perfino ora che Nathan ha una nuova location. «Miglioreremo la nostra casa» avevano promesso. Eppure, secondo Angrisano, quell’impegno potrebbe risultare insufficiente, «restando incerta la determinazione dei genitori a stabilizzarsi nella nuova abitazione (il casolare messo a disposizione dal ristoratore chietino, ndr), considerato che già in passato hanno presto abbandonato altra abitazione messa loro a disposizione». 

Sopravvive, ovviamente, il tema relativo all’istruzione e alla vita relazionale dei bambini. I servizi sociali, sottolineano i giudici, segnalano «che nell’interazione con gli altri bambini presenti in comunità si denota imbarazzo e diffidenza» e che «il disagio maggiore si può osservare quando si attivano fra loro confronti sia per le proprie esperienze personali che per le proprie competenze». Basterà l’affiancamento dell’insegnante Rossella D’Alessandro che, come ha confermato in un’intervista al quotidiano Il Centro, vorrebbe condurre i tre Trevallion al suo doposcuola in compagnia degli altri bimbi? Non è chiaro.

L’approccio «ideologico» della famiglia neorurale vede Catherine schierata in prima fila. Lo zenit si è raggiunto, per paradosso, proprio con il trasferimento dei bambini nella casa-famiglia di Vasto. Da quel momento la donna avrebbe mostrato la sua maggiore intransigenza, rifugiandosi nei propri principi. Dalla casa-famiglia trapela un’ostilità militante nei confronti delle regole igieniche. Si parla di docce mai fatte dall’ingresso in comunità e fuga dai saponi utilizzati invece abbondantemente dagli altri ospiti della struttura. 

Dunque i giudici hanno un certo buon gioco nell’osservare, da parte dell’istitutrice, una certa insofferenza esterna verso chiunque: «La madre pretende che vengano mantenute dai figli abitudini e orari difformi dalle regole che disciplinano la vita degli altri minori ospiti della comunità, circostanza che fa dubitare dell’affermata volontà di cooperare stabilmente con gli operatori nell’interesse dei figli». Infine, stigmatizzano i magistrati: «Nel corso del procedimento, a soluzioni concordate del minor impatto possibile, (i genitori, ndr) hanno preferito l’intensificazione dello scontro con gli operatori con reiterate manifestazioni di diffidenza nei confronti dei difensori, reiteratamente sostituiti». L’unica certezza pare la loro diffidenza.


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24 dicembre 2025