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Una mamma come tante

La domanda: «Cosa sta trasformando Milano in una città sempre più invivibile?». E il racconto: «Decine di persone hanno visto cosa succedeva senza intervenire. Provo amarezza e indignazione»

Caro Direttore,
sono la mamma di uno dei quattro ragazzi quindicenni aggrediti domenica sera, intorno alle 19.30, nei dintorni di corso Buenos Aires, nel pieno centro di Milano.
Sono molti i temi di cui vorrei parlare dopo un’esperienza simile e sono innumerevoli i dettagli che inevitabilmente restano fuori da un articolo di cronaca.
C’è il racconto di mio figlio, che mi restituisce l’immagine di uno dei quattro aggressori — il più piccolo, il più defilato — che dice agli altri di smetterla e di andarsene e che, una volta in questura, scoppia in un pianto disperato. Un’immagine che non riesce a smettere di straziarmi il cuore.
C’è la descrizione di una ragazza poco più grande di mio figlio, completamente fuori di sé, strafatta di droga e ubriaca.
C’è il «capo» della gang, spietato ma al tempo stesso inesperto, goffo nei suoi errori da ragazzino.
C’è poi il tema scottante, che non posso ignorare: sì, erano tutti ragazzi stranieri, tranne la ragazza. 

(In questo articolo la chiamata al genitore: «Cento euro o uccidiamo tuo figlio»)



















































È un’evidenza che cerco sempre di maneggiare con cautela, da donna che rifiuta la discriminazione, che crede nell’accoglienza, nell’integrazione e nell’aiuto dei più fragili. Ma oggi non posso fare a meno di chiedermi se non sia ipocrisia negare che a Milano il fenomeno dei cosiddetti “maranza” stia diventando una vera emergenza sociale.
E poi le domande, tante, che mi affollano la mente: cosa sta trasformando Milano in una città sempre più invivibile? Perché la scuola, l’unico vero strumento che abbiamo per sanare le disuguaglianze, sembra agonizzare? Perché in Italia siamo sempre più succubi di modelli di riferimento ottusi, mediocri, ignoranti e volgari, molto più che in altri Paesi a noi vicini? Potrei continuare a lungo.

Ma, in realtà, non è questo che mi ha spinto a scrivere.
Ciò che sento il bisogno di denunciare riguarda tutti, indipendentemente dal credo politico o religioso, dal ceto sociale, culturale o economico.
Durante l’ora da incubo vissuta dai nostri ragazzi, nessuno – ma proprio nessuno – li ha aiutati. Alle otto di sera, nel pieno centro di una città affollata di persone intente a fare acquisti natalizi.
L’amico di mio figlio, il ragazzo sequestrato e spogliato, trascinato in maglietta e calze tra corso Buenos Aires e le vie limitrofe, chiedeva aiuto ai passanti, ma nessuno si è fermato. Solo dopo quasi un’ora un ragazzo di Glovo e un uomo sulla cinquantina si sono accorti di lui.
Nel frattempo mio figlio e gli altri amici, rifugiatisi in una pizzeria per chiamare la polizia e chiedere aiuto, non sono stati in alcun modo soccorsi quando sono usciti per non perdere di vista l’amico che veniva trascinato via.
Credo non serva aggiungere altro.

L’amarezza e l’indignazione che provo oggi sono mitigate solo da un pensiero: il coraggio, l’unità, la lucidità e la forza dimostrati dai nostri figli. Non si sono persi d’animo, hanno reagito con intelligenza, sono rimasti uniti e si sono aiutati fino all’arrivo dei soccorsi.
Proprio perché è Natale, auguro a questa generazione di giovani belli e consapevoli l’arduo compito di riuscire a salvare un’umanità sempre più piccola e meschina che sembra ormai naufragare.


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24 dicembre 2025 ( modifica il 24 dicembre 2025 | 09:16)