di
Andrea Camurani
Ex ciclista professionista, 36 anni, ogni mattina all’alba parte da Laveno Mombello per andare in Canton Ticino: «In sella anche d’inverno, è una sfida con me stesso e con il cronometro. Il problema? Gli automobilisti maleducati»
Per tanta gente la vita è fatta di piccoli traguardi quotidiani, e ciascuno ha il suo. In molti casi non è neppure importante sapere con quale divisa si affrontano queste prove, per esempio: addosso abbigliamento sportivo, e nello zainetto quello da lavoratore frontaliere. Proprio come fa ogni mattina Martino Caliaro, ex ciclista professionista, 36 anni, che impiega la bici come mezzo di trasporto per raggiungere il luogo di lavoro: 110 chilometri ogni giorno tra andata e ritorno.
Caliaro è di Ceresolo, località sulle sponde lombarde del Lago Maggiore, frazione di Laveno Mombello, in provincia di Varese. Di solito all’alba, o a seconda del turno di lavoro, questo tornitore di precisione in una ditta di Sant’Antonino, non distante da Bellinzona, indossa scarpe, caschetto e guanti, inforca la sua bici da corsa e parte. Direzione: Canton Ticino. Quindi via verso Nord sulla «lacuale», un percorso suggestivo che si snoda lungo la provinciale 69 per ampi tratti proprio a picco sul lago; poi passa le gallerie fra Laveno e Castelveccana, doppia il promontorio di Santa Veronica e dopo qualche curva, da Porto Valtravaglia imbocca il lungo rettilineo fino Germignaga, poi Luino e ancora su diretto per altri venti e passa chilometri fino al valico di Zenna dove entra in Svizzera. Attraversa i paesi della sponda elvetica del Verbano, e arriva in ditta. Tragitto pianeggiante con qualche «strappetto». Ma zero code alla dogana.
Ampio respiro, battito regolare, acciaio nelle gambe: cinquantacinque chilometri, circa un’ora e quaranta minuti. Un record? «È sempre una lotta contro se stessi. Alla fine il tragitto è uguale, lo faccio in solitaria, mi godo un allenamento speciale. Anche il tempo che impiego, non lo nego, è sempre un po’ una gara a cronometro. Naturalmente ad influire sono elementi variabili come il traffico, o le condizioni meteo. L’obiettivo è metterci sempre meno, diciamo che l’andatura è intorno ai 30 chilometri orari di media». Sì, sbaglia chi pensa al super eroe che sfida acqua e neve, («Anche perché di neve oramai da queste parti ne viene talmente poca…»), ma l’obiettivo è tenersi in forma e, perché no, contribuire a ridurre l’inquinamento: «Mi muovo in bici il più possibile, impegni familiari permettendo. Altrimenti sempre le due ruote, uno scooter. Ma capita davvero di rado».
La scelta dei materiali non è casuale: bici da corsa, «tutte marchiate Mario Cipollini», abbigliamento tecnico svizzero («Il migliore»), specialmente per la stagione invernale «dove occorre un isolamento termico al top».
Martino non è nuovo a sfide che hanno a che vedere con una certa «serialità»: nel 2015 aveva battuto un suo record personale cioè le 250 salite al Cuvignone, vetta «spaccagambe» della Valcuvia che aveva peraltro più e più volte percorso con un big del ciclismo, il varesino Ivan Basso. È chiaro che, se si parla di Lago Maggiore, di gare in bici, non può non venire in mente l’inizio del film a episodi («Di che segno sei?», 1975, regia Sergio Corbucci) in cui un Renato Pozzetto, pure lui pendolare, ingaggia una volata all’ultimo secondo con Massimo Boldi per raggiungere la stazione di Gemonio, a pochi chilometri da dove vive Martino, e dal suo Cuvignone. Ha mai pensato ad una sorta di «garetta» con qualche collega? «Direi di no. C’è un ragazzo che lavora con me, abita a Carlazzo, in provincia di Como: almeno una volta la settimana viene in bici. Sono 50 chilometri. Ma facciamo tragitti diversi».
Un consiglio a chi volesse cimentarsi? «Si può fare, è bello. Solo attenti agli automobilisti: non avete idea di quante persone si mettano alla guida col cellulare in mano. E si arrabbiano pure se glielo fai notare».
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4 agosto 2025
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